La parziale eclissi del nome di Alejo Carpentier dall’elenco sterminato di scrittori ispanoamericani che hanno impegnato critici e lettori volenterosi in Europa a partire dal secondo Novecento può trovare due diverse spiegazioni. La prima – evidenziata anche nell’introduzione al volume ora edito da Mimesis, curato e tradotto da Massimo Rizzante, che raccoglie scritti inediti dell’autore cubano, L’età dell’impazienza Saggi, articoli, interviste 1925-1980 (pp. 336, € 26,00) – si trova nella adesione incondizionata e duratura di Carpentier alla rivoluzione castrista («Uomo del mio tempo sono e il mio tempo trascendente è quello della Rivoluzione cubana», recita l’iscrizione sulla sua lapide a L’Avana), ciò che da medaglia al valore intellettuale si è trasformato assai rapidamente, alla volta del secolo scorso, in una macchia indelebile nel curriculum etico di cui ogni artista oggi pare dover presentare le credenziali; l’altra spiegazione potrebbe invece rintracciarsi, piuttosto che nella sua vita, nell’opera stessa di Carpentier, quella di un romanziere puro, diffidente nei confronti del prosatore che si propone quale suadente voce guida per i suoi contemporanei (come precisato in uno degli interventi contenuti nella raccolta, «Il romanzo e la Storia», che letto oggi assume un valore ancor più felicemente polemico), sostenuto da una fede incrollabile nella finzione come atto creativo del mondo, piuttosto che descrittivo di esso ciò che già da solo basterebbe a renderlo ampiamente fuori moda – la cui scrittura, colta e articolata, è per di più di non facile accessibilità.

A dispetto di questa condizione umbratile (Carpentier non dispone nemmeno di una edizione completa e definitiva della sua opera in spagnolo, si apprende dal saggio conclusivo di Miguel Gallego Roca), forse non così nefasta per uno scrittore come lui, se non fosse per la scarsa reperibilità dei suoi libri, per esempio in Italia – Longanesi e Einaudi negli anni non hanno mantenuto in catalogo Carpentier, dispersosi poi in un rivolo esile e disordinato di piccole pubblicazioni fino alla recente riedizione da parte di Sellerio di un paio dei suoi titoli – non mancano le voci autorevoli, soprattutto in America latina ma non solo, che indicano nello scrittore cubano una delle vette della letteratura del Novecento in lingua spagnola.

Costruito quasi come un «alfabeto Carpentier», L’età dell’impazienza è una interessante via di ingresso per accostare la sua figura. Alcuni «saggi» sono brevi o brevissimi, in realtà piccoli interventi pensati per la stampa dell’epoca, e lasciano quasi sempre con il desiderio di leggere di più sull’argomento, complice un tono perentorio  e idiosincratico che li rende spesso anche gustosi (vedi i passaggi contro il romanziere esistenzialista «vestito all’ultima moda di Saint-Germain-des-Prés» o sul ribaltamento beffardo del termine «esotico» nel rapporto artistico tra Europa e America latina); l’intelligenza di Carpentier, però, affiora in tutta la sua complessità, e chiama a sé nuovi lettori, sia quando discute problemi letterari in astratto (nell’affrontare un tema a lui carissimo come «Romanzo e musica», o quando approssima una definizione del «romanzo latinoamericano»), sia quando scrive poche righe a proposito di altri grandi (Cervantes, Flaubert, Hemingway, Döblin, Joyce tra gli altri).

Diversi interventi tornano infine sul tema tipicamente ascritto a Carpentier dell’«America naturalmente meravigliosa». In essi l’autore del Secolo dei lumi cerca di marcare una distanza dall’atteggiamento avanguardistico – che lui stesso aveva conosciuto e sperimentato nei suoi anni europei – se tacciato di decadentismo («Io insisto nell’affermare che il romanzo non è un gioco»), e si profonde in una erudita precisazione dell’attributo «barocco» a lui accostato innanzitutto da se stesso, sin dal titolo di una bellissima raccolta di racconti a tema musicale (Concerto barocco, edito da Einaudi nel 1997 e oggi introvabile).