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Fermi e censure: Gerusalemme il giorno dopo

Fermi e censure: Gerusalemme il giorno dopoUn giovane palestinese detenuto dagli agenti israeliani durante l’incursione sulla Spianata – Ap/Ilia Yefimovich

Palestina/Israele Dopo l'attacco israeliano alla Spianata, daspo di 15 giorni per 65 minori, 130 palestinesi ancora agli arresti. Facebook sospende l’agenzia Al-Qastal. Hamas parla con i mediatori: «Non vogliamo la guerra». Mosca contro Tel Aviv

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 17 aprile 2022

Il giorno dopo l’attacco israeliano alla Spianata delle Moschee, al-Aqsa è pulita. Già nelle ore successive all’operazione nel terzo luogo sacro dell’Islam, quattro ore di gas lacrimogeni, granate e proiettili di gomma, di feriti e arresti tra i palestinesi (158 e 470, rispettivamente), la gente aveva ripulito i segni della battaglia: calcinacci, pietre, la gomma dei proiettili, i candelotti e i vetri delle finestre delle moschee andati in frantumi.

NELLA TARDA SERATA di venerdì erano tornati in libertà 18 bambini arrestati sulla Spianata dalla polizia israeliana. Tutti sotto i 14 anni, riporta l’agenzia palestinese Wafa, condotti al checkpoint di Qalandiya (tra i più famigerati, quello che divide Gerusalemme da Ramallah) dopo ore trascorse nella prigione della colonia di Ma’ale Adumim.

Ieri The Times of Israel riportava di almeno 130 palestinesi ancora detenuti. Per 65 minorenni divieto di entrare nella Città vecchia di Gerusalemme per 15 giorni.

«Nessun attacco o arresto o invasione dissuaderà i nostri giovani e la nostra gente dal resistere a Gerusalemme», il commento del parlamentare della Lista araba, Sami Abou Shehadeh.

ALTRO EFFETTO “COLLATERALE” è la censura: Facebook ha sospeso la pagina di Al-Qastal news, tra le più seguite in Palestina. «Senza nessun avvertimento – ha scritto ieri Al-Qastal nel proprio sito – la pagina Facebook è stata cancellata per la copertura massiccia degli eventi accaduti a Gerusalemme, nonostante l’aderenza agli standard di Facebook».

Con due giornalisti feriti venerdì dalla polizia israeliana (una giornalista, Nesreen Salem, colpita da una granata alla testa; un altro, Mohammed Samreen, prima centrato da un proiettile di gomma alla gamba e poi arrestato), l’agenzia ha perso uno dei suoi principali mezzi di informazione.

Non una novità: da anni attivisti e associazioni palestinesi denunciano la cancellazione dei propri account dai principali social media – nella rete cade spesso anche la modella Bella Hadid, che di nuovo venerdì ha subito l’oscuramento di un post su Instagram – o l’affossamento di hashtag su temi legati alla questione palestinese.

MOVIMENTO c’è stato anche sul piano diplomatico. O meglio, una sfilza di dichiarazioni di condanna da parte di svariati paesi mediorientali, dal Golfo all’Iran.

È tornato a parlare anche Hamas, osservato speciale: il timore di un’escalation che ricalchi quella del maggio 2021 (attacchi a Gerusalemme, missili su Israele e infine bombe su Gaza) ha attraversato la mente di molti. Già venerdì il leader del movimento islamico palestinese, Ismail Haniyeh, aveva fatto sapere di aver avuto colloqui telefonici con le Nazioni unite e Il Cairo per evitare un crescendo di tensioni.

Ieri un altro membro della leadership, Izzat al-Rishq ha ribadito: «Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa sono linee rosse e qualsiasi provocazione sarà affrontata», ha detto per aggiungere subito dopo che Hamas «non cerca una nuova guerra a Gaza». Insomma, evitiamo escalation che nessuno è in grado di gestire.

UNA MEZZA RISPOSTA è giunta dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che attraverso il suo portavoce ha ribadito la necessità di rispettare lo status quo dei luoghi santi di Gerusalemme e ricordato di essere «in contatto stretto con tutti i partner regionali per calmare la situazione».

L’amministrazione Biden aveva parlato già venerdì sera, dicendosi «profondamente preoccupata» e appellandosi «a tutte le parti perché evitino azioni provocatorie», le parole del portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price. Formule di rito che non condannano né prospettano quell’intervento che venerdì chiedeva a gran voce l’Autorità nazionale palestinese, nota per non essere ascoltata da nessuno.

Meno diplomatica è stata la Russia: il ministero degli Esteri di Mosca ha attaccato quello israeliano per quelle che ha definito dichiarazioni «anti-russe».

IL RIFERIMENTO è alla decisione di Israele di votare a favore della sospensione della Russia dal Consiglio Onu per i diritti umani, primo vero atto concreto di Tel Aviv contro l’alleato de facto, che finora gli ha garantito luce verde per bombardare indisturbato la Siria: «Un tentativo misero di camuffamento, approfittare della situazione in Ucraina per distrarre l’attenzione della comunità internazionale da uno dei conflitti più antichi mai risolti, quello israelo-palestinese».

«Vale la pena notare – ha aggiunto il ministero – che la più lunga occupazione è portata avanti con la tacita connivenza dei paesi occidentali».

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