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Fecondazione, un percorso duro per la donna: l’uomo non può ripensarci

Fecondazione, un percorso duro per la donna: l’uomo non può ripensarci

Diritti Per la Corte costituzionale è legittimo l’impianto degli embrioni anche se la coppia si è separata

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 luglio 2023

La Procreazione medicalmente assistita è una scelta troppo impegnativa, soprattutto per la donna, per consentire che l’uomo coinvolto nel procedimento possa cambiare idea dopo che l’ovulo è stato fecondato con il suo seme. Lo ha stabilito ieri la Corte costituzionale rigettando la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Roma riguardo la norma contenuta nella legge 40 che rende possibile l’impianto degli embrioni crioconservati anche a distanza di tempo, se la donna lo desidera, anche se la coppia che aveva scelto di ricorrere alla fecondazione assistita si è nel frattempo separata.

Il consenso dell’uomo alla Pma è dunque irrevocabile, secondo la sentenza n. 161 (redattore Luca Antonini) che ha giudicato non irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore nell’articolo 6, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 40/2004. I giudici costituzionali presieduti da Silvana Sciarra hanno così dato ragione alla signora A. C. che avrebbe voluto procedere all’impianto degli embrioni malgrado il coniuge, dal quale nel frattempo si era separata, aveva ritirato il proprio consenso. Il Tribunale di Roma, chiamato a redimere il caso, nel sollevare il dubbio di costituzionalità ha fatto riferimento agli articoli 13 e 32 della Carta.

Ma per la Consulta il divieto di ritirare il consenso è perfettamente legittimo. Infatti, malgrado la norma si possa «collocare al limite di quelle che sono state definite “scelte tragiche”, in quanto caratterizzate dall’impossibilità di soddisfare tutti i configgenti interessi coinvolti», l’accesso alla Pma comporta però «per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze». Un percorso duro da ogni punto di vista cui la donna «si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale».

Non è «fredda indifferenza al decorso del tempo», questo, ma la consapevolezza che non esiste «una radicale rottura della corrispondenza tra libertà e responsabilità». In ogni caso, precisa la Consulta, la ricerca di un eventuale diverso punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze in gioco non può che spettare «primariamente» al legislatore.

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