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Fassina: «Io alle primarie? No, è un invito da ceto politico»

Fassina: «Io alle primarie?  No, è un invito da ceto politico»Stefano Fassina, deputato di Sinistra italiana e candidato sindaco a Roma – Foto La Presse

Amministrative Il candidato della sinistra a Roma: «Il Pd rivuole la coalizione? E su cosa? Non hanno ancora neanche un programma». «Anche fra noi c’è chi tifa il vecchio centrosinistra? Serve un cambio radicale»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 6 gennaio 2016

Stefano Fassina, lei è il candidato sindaco della sinistra a Roma. Ma il Pd la avverte: fuori dalle coalizioni c’è solo la testimonianza.

Non è così. È una lettura politicista che non tiene conto della realtà: una parte importante del popolo democratico ha già lasciato il Pd, indipendentemente dalle nostre scelte. Alla testimonianza, al 2 per cento, ci porterebbe un’alleanza subalterna con il Pd della revisione costituzionale, del jobs act, della legge sulla scuola, di quella sulle trivelle e di quella sulla Rai.

Sta dicendo che non vi alleerete più con il Pd in tutte le città?

No. Il centrosinistra nazionale si è rotto per il riposizionamento del Pd sugli interessi più forti del paese e per le scelte che ha fatto che impattano duramente sulle città: il taglio al trasporto pubblico, quello della Tasi per tutti. Le nostre alleanze dipendono dai programmi e dall’autonomia del Pd in ogni territorio. A Roma però il Pd è quello del Nazareno, del tutto subalterno a Renzi.

Parla del commissario del Pd romano Matteo Orfini? Oggi però la invita a partecipare alle primarie.

Parlo di quello che è successo: dalla cacciata di Sel dalla giunta, l’estate scorsa, come ha ricordato Paolo Cento sul manifesto. Il centrosinistra è finito lì. Per scelta del Pd, non per capriccio di Fassina e Fratoianni. Il Pd è inaffidabile: lo ha dimostrato quando il governo ha negato i fondi per il Giubileo a Marino per poi concederli al commissario Tronca. E quando ha chiuso la giunta dal notaio. Questo è la leadership del Pd di Roma, quando si parla di alleanze non si può parlare in astratto.

Esclude anche una possibilità di riavvicinamento sul programma?

È questo il punto. Anziché fare inviti di palazzo, il Pd faccia conoscere il suo programma. Nessuno ne sa ancora nulla. Noi proponiamo scelte di radicale discontinuità anche con il centrosinistra e con il troppo mitizzato ’modello Roma’. Faccio alcune proposte: un referendum sulle Olimpiadi per far scegliere ai cittadini se è meglio investire le risorse su Roma 2024 o sulla mobilità sostenibile, riqualificazione delle periferie. A Tor di Valle è inaccettabile la speculazione coperta dalla foglia di fico dello stadio. Che ne pensa il Pd?

Ora dite no allo Stadio? Mezzo Pd le darà ragione, ma anche qualche costruttore non lo ha mai digerito.

Siamo a favore dello Stadio della Roma ma non della speculazione edilizia intorno allo stadio di Pallotta. Altra proposta: la delibera sulla privatizzazione del patrimonio Capitolino va ritirata, servono luoghi di utilizzo sociale anche con il protagonismo delle esperienze di autorganizzazione che in questi anni hanno svolto servizi fondamentali. Serve la ristrutturazione del debito che oggi soffoca qualsiasi iniziativa di sviluppo della città. Che ne pensa il Pd? E sulla privatizzazione degli asili? Finché non si parla di queste cose non si parla di nulla: si fanno solo chiacchiere.

Dunque all’invito a partecipare alle primarie risponde no?

Resto un sostenitore delle primarie. Ma nelle primarie si sceglie l’interprete migliore di un programma comune di una coalizione, non si sceglie fra programmi alternativi. Il nostro progetto è in radicale discontinuità con il passato. Del Pd di oggi non si sa nulla per ora.

Oggi un ex consigliere comunale di Sel propone di consultare «la sinistra diffusa». Lo farà?

L’ascolto dei cittadini organizzati in comitati, associazioni e movimenti, e non solo della «sinistra diffusa», è già in corso. Vuole l’elenco? Abbiamo incontrato il comitato per il Parco della Madonnetta, il Social Pride, il coordinamento per la mobilità alternativa, il comitato Tor di Valle, i dipendenti capitolini e i sindacati, i lavoratori della Croce Rossa, Libera, #poveraroma, i vincitori di concorsi di Roma Capitale, le precarie degli asili e delle scuole di infanzia. Il 17 gennaio ci sarà un incontro in ogni municipio, sarà la «domenica del programma». Ma è giusto quello che propone il consigliere Gianluca Peciola: dobbiamo allargare e intensificare l’ascolto e la partecipazione. Sono benvenuti tutti quelli che si mettono al lavoro.

Non è una richiesta neanche implicita di tornare al centrosinistra?

La virata del Pd ha lasciato scoperto un patrimonio di rappresentanza sul mondo del lavoro, della giustizia ambientale, dei diritti, della giustizia sociale. Proviamo a raccogliere questa domanda. A ricostruire un rapporto con le fasce sociali dalle quali siamo stati lontani. Non a caso siamo partiti da Ostia e abbiamo aperto il comitato elettorale a Tor Pignattara. Si lascia campo libero alla destra e ai 5 stelle se non diamo un’alternativa di sinistra al Pd. Non serve che il ceto politico si stringa intorno a Renzi.

Insisto: c’è malumore, alcuni amministratori di municipi le chiedono di non escludere l’idea dell’alleanza.

Insisto anche io. C’è una preoccupazione vera, ma anche un diverso livello di consapevolezza sul cambio di fase in corso. Spero di poterne discutere già all’incontro che faremo giovedì con gli amministratori municipali. Ma dobbiamo partire dai dati della realtà: Roma ha bisogno di discontinuità, di ritrovare una vocazione nazionale che ha perso da tempo. Il ’modello Roma’, lo scrive Walter Tocci a proposito della ’Roma città coloniale’, è stato il tentativo di far sopravvivere un contesto alimentato da edilizia speculativa e spesa pubblica. Questi motori vanno sostituiti con lo sviluppo fondato sulla cultura e la conoscenza.

Una parte dell’area che la candida a sindaco a suo tempo è stata a favore il modello Roma, e più di recente era nella prima giunta Marino. Ha anche detto sì alle Olimpiadi.

La discontinuità riguarda tutti noi. La giunta Marino ha fatto cose importanti con Sel, dalla chiusura di Malagrotta all’avvio della bonifica delle municipalizzate. Poi però Marino ha cambiato direzione. La discontinuità la richiede la situazione straordinaria, non Fassina.

Anche il presidente della regione Zingaretti, cui lei era vicino, vi chiede di non rompere la coalizione.

Il centrosinistra si è spezzato nel popolo democratico. Sarebbe stato utile lavorare per evitarle questa rottura nei tanti passaggi che hanno portato a questa rottura.

E se il Pd romano presentasse alle primarie una personalità più vicina a voi, proprio il senatore Tocci ad esempio?

Il Pd di Roma è quello di cui ho parlato fin qui. Difficile che candidi personalità autonome come Tocci. Ci stupisca.

Se corresse Roberto Giachetti?

Lo rispetto, ma ha entusiasticamente sostenuto fin qui tutte le scelte che sono state alla base della mia uscita dal Pd.

Lei è in prima fila anche nella fondazione di un nuovo partito della sinistra. Questo percorso rischia di provocare abbandoni. La preoccupa?

Certo, ogni persona che si allontana è una perdita. L’obiettivo è di includere e coinvolgere tutti. Ma soprattutto le straordinarie energie che sono fuori dal circuito politico consumato. Siamo in una fase segnata da contraddizione. Per ricostruire una sinistra di governo serve autonomia culturale e politica dal pensiero unico. Dobbiamo ricominciare da capo. Tutti. Reincollare i cocci della sinistra degli ultimi vent’anni sarebbe la strada sicura verso un fallimento.

Non c’è nessuna scissione all’orizzonte?

Sarebbe surreale anche solo il riferimento.

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