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Fantasmi del passato sul referendum in Nuova Caledonia

Fantasmi del passato sul referendum in Nuova CaledoniaNouméa, al voto per il secondo referendum nell’ottobre 2020; in basso un corteo in macchina degli indipendentisti e una manifestazione a Parigi sul futuro dell’impianto di nichel in Nuova Caledonia – Ap

Oggi al voto Nell’ex colonia la terza consultazione per l’indipendenza dalla Francia finirà probabilmente con un terzo «no», ma si temono disordini

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 dicembre 2021

Le previsioni annunciano un ciclone per oggi in Nuova Caledonia. Si tratta di meteo, non di politica, anche se oggi si svolge il terzo – e ultimo – referendum sull’indipendenza. Gli iscritti nelle liste elettorali di questo arcipelago lontano 16mila chilometri dalla Francia metropolitana e 24 ore di aereo, già ampiamente autonomo, dovranno rispondere, dopo il 2018 e il 2020, sempre alla stessa domanda: «Volete che la Nuova Caledonia acceda alla piena sovranità e diventi indipendente?».

Gli scrutini precedenti avevano sorpreso: nel 2018 il “no” aveva vinto con il 56,7%, nel 2020 con il 53,3%, con solo 10mila voti di differenza. Quando la terza data è stata decisa, con un incontro a Parigi a cui però già una parte degli indipendentisti aveva rifiutato di partecipare, la speranza di una vittoria dell’indipendenza era ancora forte: gli iscritti sulle liste elettorali per i referendum sono 185mila, su 270mila abitanti, un numero bloccato al 1994, perché solo gli autoctoni sono iscritti d’ufficio mentre per gli europei, che possono essere alla quinta-sesta generazione (qui c’era un bagno penale dal 1864 al 1924) e per gli asiatici, molto numerosi, per avere il diritto di votare bisogna dimostrare di avere almeno 20 anni di residenza.

Ma oggi, la speranza di vincere l’indipendenza nelle urne è diminuita. Il fronte indipendentista, con sfumature diverse tra Flnks e il più radicale Palika, dal 20 ottobre chiede agli elettori di non partecipare al voto. Lasciando così il via libera a un altro “no”, anche se una bassa partecipazione renderà poco legittimo il risultato.

L’FLNKS SOSTIENE che il Covid ha sconvolto la situazione: nelle prime ondate, l’arcipelago è stato risparmiato, ma a settembre ci sono stati molti contagi e 280 morti, la metà dei quali kanak (autoctoni) e il senato coutumier, un’istituzione locale, ha dichiarato un lutto di un anno, seguendo la tradizione. Per rispettarla, il referendum avrebbe dovuto essere rimandato, dopo le presidenziali (aprile) e le legislative (giugno) francesi. Ma il Consiglio di stato ha confermato la data.

Il governo teme disordini. Ci sono 18 “osservatori” dell’Onu sul posto, ma anche 1.400 gendarmi e 100 poliziotti supplementari, 250 militari, per prevenire eventuali violenze: è proibito comprare e bere alcol in prossimità dei seggi e anche acquisire taniche di benzina (in passato ci sono stati tentativi di incendio).

C’È LO SPETTRO di un ritorno al passato. Nel 1988, gli accordi di Matignon, seguiti nel 1998 dall’accordi Nouméa, avevano messo fine a 4 anni di guerra civile, che avevano fatto dei morti (assalto di Ouvéa, 19 morti kanak e due gendarmi), poi l’assassinio del leader kanak, Jean-Marie Tjibaou, e del suo braccio destro, che avevano firmato gli accordi con Parigi, da parte di un fanatico indipendentista. Il centro culturale realizzato dall’architetto Renzo Piano porta il nome di Tjibaou.

LA SOCIETÀ della Nuova Caledonia è polarizzata, molto diseguale. Dal punto di vista amministrativo, ci sono tre province, due nella grande isola principale, la terza nelle isole Loyauté.

Queste e il nord della grande isola sono principalmente abitate dai kanak, mentre il sud e la capitale Nouméa, la zona più prospera, hanno una maggioranza di europei (e asiatici). Con il Covid, dalla Francia sono arrivati vaccini e sovvenzioni, ogni anno Parigi versa a questo territorio 1,5 miliardi di euro, che servono per pagare il personale dei servizi pubblici.

L’economia è in mano agli europei. Per riequilibrare un po’, nel 2013 è stata aperta nel nord dell’isola principale una fabbrica di nickel, la grande ricchezza dell’arcipelago, che è il quarto produttore mondiale (8% della produzione totale nel mondo), con enormi riserve (25% del mondo), un fatturato pari al 7% del pil, 5.900 posti di lavoro diretti e 15.600 indiretti, pari a un quarto dell’occupazione nel settore privato. Ma il nickel è diventato oggetto del contendere tra comunità. La fabbrica del nord, di fatto gestita dagli indipendentisti, ha accumulato enormi debiti e Parigi è intervenuta per evitare l’arrivo massiccio di capitale cinese. Difatti, la Cina osserva con particolare attenzione il referendum.

NEL PACIFICO, PECHINO ha già conquistato economicamente molte aree, che contano anche per aumentare il peso della Cina all’Onu (i paesi insulari del Pacifico rappresentano il 7% dei voti all’Assemblea generale). Il primo importatore di nickel della Nuova Caledonia è ormai la Cina (57%), con una crescita esponenziale negli ultimi anni, a causa dell’importanza di questo minerale, indispensabile per le batterie delle auto elettriche. «Non abbiamo paura della Cina, non ci preoccupa – ha dichiarato un leader dell’Flnks, Roch Wamytan – è la Francia che ci ha colonizzati».

Con il terzo referendum si apre un nuovo capitolo: qualunque sia il risultato, ci saranno 18 mesi di trattative con Parigi per stabilire un nuovo statuto, che poi dovrà essere approvato da un altro referendum.

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