Dopo l’artiglieria pesante schierata dalla Banca Centrale Europea (Bce) contro la modesta, malconcepita e ancora ipotetica tassa sugli extraprofitti delle banche, governo e maggioranza continuano a palleggiarsi le sorti di un provvedimento annunciato dalla presidente del consiglio Meloni nel tentativo di equilibrare il suo situazionismo economico- populista con gli interessi corporativi che non tollerano nemmeno simili iniziative estemporanee.

Il tavolo di questo gioco imbarazzato, il cui scopo è salvare capra e cavoli, sono le commissioni Ambiente e Industria del Senato che stanno discutendo un altro «decreto salsiccia» – il «Dl asset» – che contiene di tutto: norme sulle licenze dei taxi, sul Ponte sullo Stretto fino alle intercettazioni e al «caro voli».
Dopo avere incubato il malumore rispetto agli annunci di Meloni per più di un mese ieri Forza Italia ha presentato undici emendamenti all’articolo 26 del decreto licenziato dal governo a inizio agosto.

Prevista l’esclusione delle piccole banche, il rafforzamento del concetto che si tratta di una tantum limitata al 2023, l’esclusione dei titoli di Stato dal calcolo dell’extraprofitto, l’aumento da 0,1 a 0,15 o 0,18 della percentuale dell’attivo degli istituti di credito oltre il quale l’imposta straordinaria non scatta. Chiesta la deducibilità dell’imposta ora esclusa dal governo, sulla quale si punterà probabilmente per ammorbidire ancora di più la norma. Forza Italia propone due possibilità: o deducibilità totale o soglia del 27,5%.

«Non poniamo diktat – ha detto il vicepremier ministro degli esteri Antonio Tajani (Forza Italia) – Vogliamo che la norma sia scritta bene. Alla fine un accordo si raggiungerà». Che il clima non sia dei migliori lo attesta il silenzio di Fratelli d’Italia che non ha presentato emendamenti. E che un vertice di maggioranza non è stato ancora fissato.

In totale al «Dl asset» sono stati presentati circa 550 emendamenti. L’obiettivo è chiudere entro giovedì prossimo anche se non si esclude di arrivare a martedì 26 mattina. Ieri non si escludeva di non votare il mandato al relatore e un’ennesima richiesta della fiducia. Il decreto va convertito in legge entro il 9 ottobre