Lavoro

Ex Gkn, una comunità resistente al posto dei camion

Ex Gkn, una comunità resistente al posto dei camionLa manifestazione contro lo sgombero dello stabilimento – Biagianti

Delocalizzazioni Un migliaio fra operai, cittadini, studenti, rappresentanti delle forze di sinistra, sindacati e istituzioni presidia la fabbrica, per evitare lo sgombero dei materiali. E per ribadire che solo un vero piano industriale, concordato e dettagliato, può dare un futuro allo stabilimento e ai suoi 330 operai.

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 8 novembre 2022

I camion per svuotare la fabbrica non arrivano. Al loro posto, dalle otto del mattino, un migliaio fra operai, cittadini, studenti, rappresentanti delle forze di sinistra, sindacati e istituzioni. Tutti davanti alla Gkn ora Qf, per dire che solo un vero piano industriale, concordato e dettagliato con Rsu, parti sociali, governo ed enti locali, può dare un futuro a quello che era uno stabilimento all’avanguardia. L’esempio di un made in Italy di qualità che assicurava lavoro “buono” e lauti profitti. Una realtà industriale abbandonata dalla sera alla mattina da una multinazionale che dall’economia reale è passata a quella finanziaria, lasciando per strada chi aveva contribuito alle sue ricchezze.
“Quando dicono che devono passare a ritirare dei rifiuti – ricorda l’operaio Dario Salvetti – lo fanno per confondere le acque, perché quello che chiamano rifiuti è l’intero magazzino della Gkn: semiassi Ferrari, Maserati, Ducato, Fiat e altri, venduti a peso di rottami e che invece valgono moltissimo”. Non per caso ai cancelli sono affissi striscioni con scritto “Ecco il made in Italy”, “pezzi scarti, rave party”, “Vendo ferro pago operai”.
Di fronte alle lamentele dell’attuale proprietà, il segretario Fiom Cgil dell’area metropolitana Daniele Calosi riepiloga: “Qf non ha ancora presentato un vero piano industriale, si preoccupi di quello anziché dei rottami, e torni al tavolo della trattativa. Invece di cercare questa prova di muscoli, Franceco Borgomeo ci dica che non ci sono più le condizioni per andare avanti, cambi l’advisor, e metta nelle mani del ministero la possibilità di un’amministrazione straordinaria, in modo da poter accedere ad un aiuto economico e una vera prospettiva di sviluppo”.
Da Roma sono arrivati l’ex sindaco campigiano Emiliano Fossi, oggi parlamentare dem, e il collega pentastellato Andrea Quartini: “Le centinaia di lavoratori della Gkn e le loro famiglie attendono risposte da quasi un anno e mezzo – ricorda Fossi – farò un’interrogazione parlamentare al ministri Urso e Calderone, perché anche il governo deve fare la sua parte”.
La solidarietà che il Collettivo di Fabbrica ha dato a tante vertenze e lotte non viene dimenticata: le realtà del sindacalismo di base, compatte, scioperano e sono qui. Al pari dei partecipanti all’incontro dei movimenti sociali, a vent’anni dal Forum sociale europeo di Firenze, che assicurano il loro concreto sostegno. Anche la sinistra, con i consiglieri comunali Bundu, Palagi e Ballerini, è qui: “Se oggi c’è ancora una possibilità per la fabbrica – osservano – è solo merito della lotta operaia e del gruppo di solidarietà nato intorno ad essa. Le istituzioni locali sembrano confermare il supporto, ma evitiamo ipocrisie: perché il precedente governo non ha fatto propria la proposta di legge contro le delocalizzazioni partita dalla fabbrica? E l’attuale governo come intende tutelare il made in Italy, se pensa alla propaganda sui rave invece di garantire lo sviluppo del tessuto produttivo del Paese? Dovrebbe essere evidente la necessità di un intervento più incisivo del pubblico, vista anche la proposta dal mondo accademico di una possibile riconversione industriale. Il Collettivo di Fabbrica va ascoltato, non solo supportato”.
“Questa è la nuova tecnica delle multinazionali – chiude Salvetti – la chiusura per logoramento. Si lascia tutto fermo, aspettando il giorno in cui lo stabilimento si potrà rivendere”. “Borgomeo sta effettuando un’operazione di distrazione di massa – chiude a sua volta la Fiom – per non ammettere il mancato rispetto dell’accordo da lui stesso sottoscritto il 19 gennaio al Mise. Sia il ministero che Invitalia non hanno considerato percorribile il contratto di sviluppo da lui stesso proposto. A tal punto che l’Inps non ha autorizzato la cassa integrazione perché, unico caso in Italia, non sanno neanche che causale metterci”. Tant’è.

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