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Etiopia, Abiy Ahmed stravince le elezioni ma non la guerra

Etiopia, Abiy Ahmed stravince le elezioni ma non la guerraIn un seggio nei dintorni di Addis Abeba – Ap

Il Partito della Prosperità oltre il 90% Il premier etiope supera il primo test delle urne, . Nel Tigray intanto si continua a combattere

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 13 luglio 2021

Il Partito della Prosperità del premier etiope Abiy Ahmed ha vinto, come previsto, le elezioni con oltre il 90% dei voti. Tuttavia, è l’intensità della maggioranza a sorprendere: al partito del premier sono assegnati 410 seggi su 436. Restano vacanti 111 seggi perché le elezioni non si sono svolte in alcuni distretti in particolare nel Benishangul e Tigray (circa il 20% del Paese) per le conseguenze della guerra (nel Tigray) o per motivi di sicurezza o logistici. Per questi ultimi territori le elezioni sono state rimandate al 6 settembre, mentre per il Tigray non ci sono previsioni di voto.

Si è trattato della prima prova elettorale per Abiy da quando è stato nominato primo ministro dalla coalizione di governo nel 2018. Per lui è stata «un’elezione storicamente inclusiva: sebbene i partiti eletti formano il governo, l’amministrazione del Paese non è limitata a quei partiti e ai loro leader». Le elezioni, sostiene il premier «sono state uniche perché condotte attraverso il coordinamento di un comitato elettorale indipendente. La credibilità delle elezioni non ha precedenti in quanto vari attori, tra cui media, società civile, Commissione per i diritti umani e tribunali, hanno monitorato in modo trasparente il processo di voto».

Secondo la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) «non ci sono state violazioni dei diritti umani gravi o diffuse» nei seggi sotto osservazione. Anche se in un rapporto preliminare si segnalavano in alcuni collegi elettorali «arresti impropri», intimidazioni e «molestie» nei confronti di osservatori e giornalisti. La Commissione aveva anche segnalato diversi omicidi nei giorni precedenti il voto nello stato regionale dell’Oromia.

Berhanu Nega del partito Ethiopian Citizens for Social Justice (Ezema) ha dichiarato di aver presentato più di 200 denunce perché gli osservatori in diverse regioni sono stati bloccati da funzionari e miliziani locali. L’opposizione si è presentata frammentata in dozzine di partiti per lo più a base etnica. I partiti di opposizione con un respiro più nazionale, Ezema e il Movimento Nazionale di Amhara (NAMA), sono sotto la soglia dei 10 seggi.

Per Abiy non c’è molto da festeggiare perché le sfide in atto per il Paese sono crescenti. In primis la situazione del Tigray dove c’è stato un ritiro unilaterale dell’esercito etiope, ma i combattimenti continuano perché i ribelli hanno dichiarato di continuare a combattere finché tutte le forze estranee (soldati eritrei e milizie Amhara) non lasceranno la regione. Nonostante l’asimmetria sul piano militare l’esercito tigrino è stato in grado di mettere in atto tattiche di guerriglia tali da ridimensionare la forza militare etiope e. Hanno poi pesato i cambiamenti a livello regionale, il ritiro degli Emirati Arabi Uniti dalla base Eritrea di Assab (verso Yemen e Libia) che si ritiene abbia fornito i droni nella prima parte dell’offensiva è stato un altro fattore decisivo. Se le ostilità dovessero riprendere fonti locali prevedono un intervento a sostegno dell’esercito etiope di militari della regione Somali.

Per quanto riguarda la Grande Diga della Rinascita Etiope (GERD) in una nota l’Etiopia ha comunicato che è stato avviato il secondo riempimento della diga, decisione che ha portato l’Egitto ha richiedere ed ottenere una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Il Consiglio in una riunione tenutasi lo scorso giovedì ha invitato le parti (Egitto, Etiopia e Sudan) a riprendere i colloqui e sostenuto gli sforzi di mediazione dell’Unione africana.

Per quanto riguarda i territori contesi tra Etiopia e Sudan nella regione di Al-Fashaqa il capo del consiglio militare ad interim del Sudan Abdel Fattah Al-Burhan ha invitato l’Etiopia a ritirare le sue truppe da tutto il territorio sudanese. E ha aggiunto che non ci sarà nessun negoziato finché l’Etiopia «non riconoscerà che queste terre sono sudanesi».

Poi resta grave la situazione umanitaria nel Tigray dove Ramesh Rajasingham, vicesegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza ha dichiarato che 400.000 persone superato la «soglia della carestia». In una nota delle Nazioni unite la situazione per quanto riguarda l’accesso sta migliorando notevolmente. I partner umanitari hanno gradualmente ripreso le operazioni, compresa la distribuzione di cibo, il trasporto di acqua, forniture mediche e sementi per l’agricoltura, ma le operazioni sono limitate dall’assenza di carburante, servizi bancari, telecomunicazioni ed elettricità.

Infine il Paese affronta la molteplicità dei conflitti su base etnica e poi la crisi economica, il blocco degli aiuti internazionali. E la questione Covid. Abiy ha vinto, è per i prossimi 5 anni ha già un’agenda politica.

 

 

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