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Essere giusti con i grillini

In una parola

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 16 febbraio 2021

Premetto che non ho mai votato per il Movimento 5 Stelle e che ho sempre considerato pericolose molte tesi e parole d’ordine della loro proposta e provocazione politica. In particolare la contestazione indiscriminata contro la “casta” (condivisa peraltro da moltissimi altri soggetti politici e mediatici), il richiamo alla lotta alla corruzione con un linguaggio e idee pesantemente segnate dal giustizialismo. Per non dire dell’uso di slogan volgari, troppo spesso all’insegna dell’insulto e della demonizzazione del nemico (di turno).

Tuttavia la sufficienza e il facile discredito che nel discorso pubblico viene riservato al movimento di Grillo, proprio nel momento in cui – sia pure con oscillazioni opposte tra destra e sinistra – sembra svilupparsi un atteggiamento più consapevole della necessità di mediazione e di accordi politici e dell’affinamento di una capacità di governo, mi sembrano sbagliati.

Prendiamo il ricorso alla votazione degli “iscritti” sulla piattaforma “Rousseau”. È facile dire che il problema del rapporto democratico tra i “vertici” che decidono e la “base” di iscritti o simpatizzanti che da corpo a un soggetto politico non può certo essere ridotto a un “click” su un semplice quesito prendere-o-lasciare. Peraltro con tutte le ambiguità della vicenda della società Casaleggio, e – nel caso recente – con una formulazione del quesito assai discutibile (e discussa).

Tuttavia, tutti i soloni che criticano questo metodo, quali altri metodi e pratiche politiche propongono?

È stato ricordato come un partito ancora piuttosto solido come quello socialdemocratico tedesco, dovendo decidere se riproporre la partecipazione alla “grosse Koalition”, ha consultato i suoi iscritti ottenendo ben 370 mila risposte (con lettere e notaio) su 463 mila iscritti, e una maggioranza favorevole del 75%. Si trattava di un responso vincolante per il partito.

Esiste qualche partito o movimento italiano che si impegna in qualcosa di simile?

Ma anche l’insistenza, quasi ossessiva, con cui i 5 stelle fin dalle orgini indicano l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, e altre pratiche di selezione del ceto politico, per aggiornare e rivificare la vita della democrazia, non dovrebbero essere respinte altezzosamente. Soprattutto ora quando le frasi un po’ fascistoidi sul Parlamento da “aprire come una scatoletta di tonno”, se non da chiudere, sembrano archiviate in un passato che può far sorridere.

Si tratta di sintomi pericolosi di una male che riguarda tutti: le democrazie rappresentative sono in crisi in tutto il mondo.

Ma la cosa non sembra interessare molto nessuno dei partiti che si definiscono democratici.

Anche i vizi della cosiddetta “casta” non sono una invenzione del comico genovese. Si sa che la fortuna della parola è legata a un libro scritto da due giornalisti, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, nel lontano 2007. Meno si ricorda che una analoga documentata denuncia era stata scritta due anni prima da due uomini di sinistra, Cesare Salvi e Massimo Villone (“Il costo della democrazia. Eliminare sprechi, clientele e privilegi per riformare la politica”, Mondadori, 2005).

Proprio Cesare Salvi ha recentemente pubblicato un saggio sulla crisi della democrazia rappresentativa di cui suggerisco la lettura (sul sito di Critica Marxista e sulla pagina Facebook della rivista).

Se Pd e 5stelle, e altre forze di sinistra, favorevoli o contrarie al governo Draghi, volessero davvero proseguire il tentativo di costruire una alleanza seria, non dovrebbero discutere pubblicamente di queste cose?

Cercando di riconoscere il meglio – se esiste da qualche parte – delle reciproche culture e proposte politiche?

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