Esercito e wagneriani alla riscossa in Mali: i separatisti tuareg si ritirano da Kidal
Il conflitto nel nord La roccaforte delle forze ribelli dell’Azawad presa con l’aiuto dei droni e dei mercenari russi
Il conflitto nel nord La roccaforte delle forze ribelli dell’Azawad presa con l’aiuto dei droni e dei mercenari russi
Martedì 14 novembre l’esercito maliano ha riconquistato la città di Kidal, roccaforte dei separatisti tuareg dell’Azawad, riuniti all’interno della coalizione del Quadro strategico permanente (Csp). L’annuncio LO HA DATO il presidente della giunta militare, colonnello Assimi Goïta, in uno speciale flash sulla tv di stato Ortm.
L’insubordinazione di Kidal e della sua regione, dove l’esercito ha subito umilianti sconfitte tra il 2012 e il 2014, era diventata una delle «priorità» della giunta, che in settembre ha dichiarato di voler «riprendere il controllo di tutto il territorio nazionale».
La riconquista della roccaforte dei ribelli rappresenta un successo simbolico per Bamako, perché conferma le scelte della giunta militare riguardo alla “cacciata” delle truppe francesi di Barkhane – accusate di connivenza con i separatisti – e il successivo accordo di «collaborazione militare» con Mosca.
Secondo diverse fonti, i soldati maliani hanno subito «perdite significative» finché non sono riusciti a impadronirsi dell’aeroporto di Kidal grazie alla tecnologia russa dei wagneriani, in particolare droni e visori notturni.
Difficile ignorare i 200 combattenti di Wagner nelle numerose immagini girate sui social, durante l’ingresso in città. Da ieri le autorità hanno mostrato altre immagini con la popolazione scesa in strada per festeggiare l’ingresso dei militari maliani. Guerra anche di informazione visto che, secondo i separatisti tuareg, le immagini sarebbero «contraffatte» e gran parte della popolazione sarebbe fuggita «per paura di possibili ritorsioni». Anche i ribelli tuareg hanno lasciato la città per «evitare ulteriori spargimenti di sangue di civili» e si sono rifugiati a nord verso Abeïbara, presso il confine con l’Algeria, in una ritirata definita «strategica».
Nel giugno 2015, il governo maliano e il Quadro strategico permanente (Csp) avevano firmato un accordo per la pace e la riconciliazione, dopo gli accordi di Algeri, che sanciva l’«autonomia» della popolazione tuareg».
Da agosto il nord del Mali è teatro di un’escalation che coinvolge esercito regolare, ribelli tuareg e jihadisti. Il ritiro della missione Minusma, voluto dalla giunta per «ingerenze negli affari interni», ha innescato una corsa per il controllo del territorio, con Bamako che ha puntato sulla riconquista delle basi abbandonate dai caschi blu (Timbuktu, Tessalit, Aguelhoc) e successivamente di «tutto il territorio nazionale», con un definitivo abbandono degli accordi di pace.
«Bisognerà vedere se la riconquista del territorio nazionale prevederà anche un maggiore impegno contro i gruppi jihadisti al nord» ha indicato all’Afp Seidik Abba, esperto di Sahel.
Secondo un rapporto di agosto dell’agenzia umanitaria dell’Onu (Ocha), più di «30mila persone sono fuggite dalla regione di Timbuktu», sotto il controllo del Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaeda. Alti 80mila profughi sono in fuga dalla zona di Ménaka, nella famigerata area dei “3 confini” (Mali, Burkina Faso, Niger), ormai sotto il quasi completo controllo dello Stato Islamico del Sahel.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento