Il nome del capitano delle SS Erich Priebke è indissolubilmente legato all’eccidio delle Fosse Ardeatine, ma anche al modo in cui, all’indomani della strage riuscì a sottrarsi alla giustizia attraverso la stessa rete che aveva già soccorso centinaia se non migliaia di criminali di guerra nazisti, spesso riparati come lui oltreoceano, in America Latina.

LA STORIA DI PRIEBKE riemerge dalle nebbie della storia nella primavera del 1994, quando una troupe del programma Prime Time Live dell’emittente statunitense Abc, guidata dal giornalista Sam Donaldson, su segnalazione del Centro Simon Wiesenthal lo rintraccia nella località argentina di Bariloche, ai piedi delle Ande, dove l’ex SS si è rifatto una vita come commerciante in seno a una comunità di origine tedesca dove non sono pochi i nostalgici del Terzo Reich, e i criminali di guerra. L’anno successivo sarà finalmente estradato in Italia dove, al termini di un complesso iter giudiziario sarà condannato definitivamente all’ergastolo nel novembre 1998 grazie ad una sentenza della Corte di cassazione.

Ospitato a Roma nella casa del suo legale, vicino agli ambienti dell’estrema destra, Priebke era diventato nel frattempo un simbolo del mondo neofascista e neonazista: al momento della sua morte, nel 2013, lascerà una sorta di «manifesto ideologico» rinnovando la fedeltà alle idee che lo avevano condotto ad indossare la divisa delle SS e a macchiarsi dei crimini per i quali era stato condannato.

Nell’ampia inchiesta scritta in forma di romanzo e dedicata alla figura di Priebke, Il carnefice (Mondadori, pp. 440, euro 21) Antonio Iovane cerca di fare luce sulla traiettoria dell’ex ufficiale delle SS attraverso tre piste di indagine. La prima riguarda la sua cattura, nella quale gli agenti internazionali lavorarono duramente per rintracciare e catturare il nazista. La seconda che racconta l’estradizione e i processi di cui fu protagonista nel nostro Paese e che videro emergere diverse posizioni, spesso con la scusa che si trattava di un imputato ormai anziano. La terza, che prende in esame «la carriera» che lo stesso Priebke seguì nell’apparato di morte delle SS e quindi la sua fuga in Argentina e le complicità di cui ha potuto godere per mezzo secolo.

«QUESTO LIBRO – spiega l’autore – ha cominciato a germinare quando ero poco più che un bambino e ascoltavo mio nonno Gennaro raccontare dell’eccidio delle Fosse Ardeatine che aveva segnato la sua vita quasi centenaria. E, insieme al suo racconto, io vedevo mio nonno struggersi: più delle sue parole, su di me pesava la sua capacità di trasmettere quel momento di Storia come se ci fosse ancora dentro, come se fosse rimasto lì».