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Eric Holder: «È con la protesta che rifaremo grande l’America»

Eric Holder: «È con la protesta  che rifaremo grande l’America»

Stati uniti L’ex attorney general: «Con le manifestazioni negli anni ’70 abbiamo fermato la guerra in Vietnam»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 8 febbraio 2017
Luca CeladaLOS ANGELES

Il luogo è  una di quelle megaville in stile simil-toscano  che vanno per la maggiore sulle colline di Beverly Hills. Monumenti di ostentazione protetti dietro i cancelli di comprensori recintati a Bel Air, spesso visitate da politici in missione di fundraising.

Barack Obama e Hillary Clinton hanno fatto tappa fissa su queste colline festeggiati da produttori o imprenditori illuminati i cui amici sogliono sborsare cifre da capogiro per una cena ed il privilegio di rimpinguare le casse del politico di turno. Hollywood, come Silicon Valley è d’altronde imprescindibile  fonte di finanziamenti per le ambizioni elettorali di qualunque politico democratico.

I PADRONI di questa villa sui cui muri pendono originali di Murakami e di Andy Warhol sono chiaramente membri di quell’intellighentsia progressista – nel caso specifico legata ad uno dei prestigiosi atenei della Ivy league: Columbia University, istituzione che da quasi tre secoli sforna membri della classe dirigente. Il pretesto infatti è una riunione di ex alunni venuti ad ascoltare il rettore del Columbia College ed il suo noioso discorso  sul «curriculum di base». Oggi però c’è qualcosa in più, gli astanti, un’ottantina di professionisti  di evidente successo, sono venuti soprattutto ad ascoltare l’ospite d’onore: Eric Holder, l’ex attorney general di Obama anche lui (come l’ex presidente) con una laurea presa a Columbia.

NEI SEI ANNI IN CARICA come ministro di giustizia di Obama (il primo afro americano ad aver occupato quel dicastero), Holder è stato braccio destro, amico e confidente dell’ex presidente statunitense. Strumentale nel formulare politiche riformiste tramite il potere della magistratura («era nostra intenzione fare una differenza e scuotere un po’ le cose»  afferma oggi). Se Obama è stato il primo presidente in carica a visitare un carcere federale, Holder è stato il primo attorney general a rompere l’omertà istituzionale, articolando l’obbrobrio morale rappresentato dall’immagazzinamento di carcerati nell’ipertrofico complesso penale-industriale americano. Un gulag  in cui sono incarcerati 2,3 milioni di persone, quintuplicate negli ultimi 30 anni e pari al 25% dei prigionieri del mondo, in gran disproporzione neri ed ispanici. Holder ha denunciato, i  costi «umani e morali del circolo vizioso di povertà, criminalizzazione e incarcerazione che intrappola troppi Americani»  e «un sistema giudiziario (che) ha esacerbato invece di alleviare» i conflitti sociali.

TUTTO, È VERO, nell’ambito di un’amministrazione che  ha ampliato la sorveglianza totale della National Security Agency (Nsa), continuato le esecuzioni di «terroristi»  mediante droni. Pur tuttavia quello sul sistema giudiziario-carcerario è stato un passo importante che insieme ad altri come il commissariamento della polizia di Ferguson, sono valsi a Eric Holder l’odio imperituro dei repubblicani.

E NON C’È DUBBIO che  è questa la ragione principale che ha spinto questa gente in questo giardino graziato da una piscina con vista sulla città. Solo pochi giorni prima, Trump ha licenziato sommariamente la attorney general Sally Yates succeduta alla carica per aver rifiutato di sostenere il bando dei musulmani. La gente qui oggi vuole avere da Holder un indicazione o almeno un parere, una qualunque dichiarazione che rompa il silenzio di una amministrazione decaduta nemmeno tre settimane fa ma sembra già un eternità. Per molti –  quelli che marciano nelle manifestazioni quotidiane in piazze e aeroporti, davanti alla Casa bianca e in quasi ogni stato dell’Unione – il silenzio di una leadership  latitante dell’opposizione è diventato assordante. Per ora l’unica dichiarazione da parte di Barack Obama è stata una nota in cui si è detto «rincuorato» dalle proteste.

ECCO QUINDI che su Eric Holder piovono le domande del pubblico a cui lui tenta di dare una risposta: «Capisco che la gente sta cercando di trovare il modo di reagire, di proteggere il paese che per noi significa tanto».  Dinnanzi all’assalto frontale ai diritti civili attuato dalle falangi trumpiste, Holder cita la celebre frase di Martin Luther King: «L’arco morale dell’universo tende verso la giustizia…però lo fa solo quando la gente mette le mani su quell’arco e lo tira verso la giustizia. È questo che dobbiamo fare». E aggiunge «Ricordate che negli anni Settanta con le manifestazioni abbiamo fermato una guerra – non sono certo stati gli esami di coscienza o i negoziati di Parigi a porre fine alla campagna in Vietnam».

L’INCONTRO DIVENTA  meet-up.
Un giovane avvocato racconta del lavoro fatto in questi giorni negli aeroporti a favore degli immigrati detenuti, del comitato che sta convocando per organizzare iniziative di opposizione, diverse persone si scambiano numeri di telefono con lui. È la «militanza civica»  che in questi giorni si interpone a Trump e a quello che vuole fare. Eppure la gente continua a fare sostanzialmente la stessa domanda: «Cosa si può fare?». Lo sconcerto è palpabile. Il rischio vero lo corre la popolazione che brulica laggiù, dove lo stuolo di case in lontananza si perde nella foschia, nei quartieri dove come ha appena confermato il Los Angeles Times sono circa due milioni le persone che potrebbero essere passibili di deportazione in una ‘seconda fase’ del piano immigrazione. Ma anche questa borghesia illuminata non si capacita dell’abisso che separa il sottosopra trumpiano dal paese in cui vivevano solo un paio di settimane fa. Holder fa del suo meglio per rincuorarli.

«DA CITTADINI DOBBIAMO mantenere fede agli ideali fondanti di questa nazione. Dobbiamo continuare a porci domande ma soprattutto impegnarci attivamente . Sono finiti i tempi quando era sufficiente attendere che i nostri leader si occupassero del bene comune. Quei tempi sono andati per sempre. Dobbiamo attivarci e rimanere attivi. Non basta esserlo oggi nel febbraio del 2017, dobbiamo esserlo anche ad agosto e oltre…».

IL RETTORE NON PERDE occasione per aggiungere che la migliore garanzia contro la tirannia incipiente è che gli atenei continuino a formare menti critiche. C’è applauso cortese ma tiepido, che non riesce  a fugare  del tutto la spiacevole sensazione  fra questi accademici istruiti che discutono della Repubblica di Platone, che laggiù, lontano da questa collina scintillante, c’è un mondo agli antipodi,  in cui ha prevalso invece l’idolatria dell’ignoranza. In cui il presidente degli Stati uniti minaccia di strangolare i fondi federali alla California ribelle.

NON TUTTO PERÒ  è perduto. Lo stato ha arruolato proprio Eric Holder come consulente legale anti Trump per sfidare in tribunale gli editti della Casa Bianca e organizzare le difese. «Se riusciremo a fare tutto questo, forse riusciremo a rifare grande l’America». La battuta scatena una risata liberatoria, che suona come un esorcismo.

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