Ergastolo per Dündar e Gül per aver fatto il proprio mestiere
Turchia Questa la pena chiesta dal procuratore di Istanbul contro i due giornalisti. Accusa: spionaggio e tentato golpe. In Siria kurdi estromessi dal negoziato dopo il diktat di Erdogan, mentre le opposizioni prendono tempo
Turchia Questa la pena chiesta dal procuratore di Istanbul contro i due giornalisti. Accusa: spionaggio e tentato golpe. In Siria kurdi estromessi dal negoziato dopo il diktat di Erdogan, mentre le opposizioni prendono tempo
Quanto temuto potrebbe diventare realtà: il procuratore del tribunale di Istanbul ha presentato ieri l’incriminazione per i giornalisti turchi Can Dündar e Erdem Gül. Raccolta di documenti segreti per fini di spionaggio militare e politico, tentativo di rovesciare il governo e deliberato sostegno al terrorismo: queste le accuse che pesano sui due reporter. Rischiano il carcere a vita, tanto ha chiesto il procuratore turco, insieme all’isolamento per 23 al giorno, per sempre.
Rispettivamente direttore del quotidiano Cumhuriyet e caporedattore dell’ufficio di Ankara, la “colpa” di Dündar e Gül è aver fatto il proprio mestiere. A maggio pubblicarono un articolo, corredato di relative prove, nel quale mostravano il tentativo di scambio intercorso tra i servizi segreti turchi e presunti membri dello Stato Islamico. Un camion che sarebbe dovuto passare dalle mani dell’intelligence di Ankara a quelle degli islamisti era stato fermato e perquisito dalla gendarmeria turca a sud del paese all’inizio del 2014 ed era apparentemente pieno di armi.
A denunciare i due giornalisti è stato lo stesso presidente Erdogan: «Chi ha scritto la storia pagherà un prezzo alto». Quel prezzo è stato consegnato ieri, dal secondo braccio del sistema repressivo turco, la magistratura, ai due giornalisti in prigione da fine novembre.
A poco serviranno le proteste delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch che ieri ha criticato aspramente la decisione del tribunale. Serviranno a poco perché manca la denuncia degli alleati della Turchia, i governi occidentali, che si nascondono dietro deboli condanne per poi stendere tappeti rossi ai piedi di Erdogan. Tappeti foderati con tre miliardi di euro (quelli promessi da Bruxelles ad Ankara perché si tenga i rifugiati siriani) e con l’accettazione a testa bassa dei diktat turchi sul negoziato siriano.
Lo si è visto chiaramente martedì quando l’Onu ha recapitato gli inviti al tavolo previsto per domani a Ginevra: fuori il Pyd, il Partito dell’Unione Democratica rappresentante dei kurdi di Rojava. Ankara aveva minacciato di boicottare il dialogo se i delegati kurdi fossero stati presenti. Poco dopo, arrivava la denuncia di Saleh Muslim, co-presidente del Pyd: «Non abbiamo ricevuto nessun invito».
Ieri in mattinata è giunta la conferma per bocca del ministro degli Esteri francese Fabius: «Il Pyd causava i problemi maggiori e de Mistura mi ha detto di non averli invitati», il laconico commento di Fabius alla radio France Culture. Immediata la reazione kurda: non riconosceremo i risultati del negoziato se non ne saremo parte, ha detto Abd Salam Ali, rappresentante del Pyd in Russia.
Benzina sul fuoco la getta un diplomatico francese rimasto anonimo: i kurdi – ha detto – non sono considerati opposizione ad Assad. Eppure sono la più valida opposizione allo Stato Islamico, relegato in un angolo del negoziato come non fosse una delle ragioni che dovrebbero spingere la Siria alla pacificazione.
A monte sta il rinnovato potere turco, derivante dall’emergenza rifugiati, spauracchio della fortezza-Europa, e dall’uso in chiave anti-Mosca che di Ankara sta facendo la Nato. Suona così ancora più ridicolo il tentativo in calcio d’angolo dell’Onu di spegnere le tensioni: ieri Khawla Mattar, portavoce dell’inviato Onu per la Siria de Mistura, ha detto che solo siriani si siederanno al tavolo, escludendo quindi l’eventuale partecipazione di una delegazione turca come paventato dal ministro degli Esteri di Ankara Cavusoglu. La Turchia ci sarà comunque, dietro le quinte, come ci sarà l’Arabia saudita impegnata in questi giorni a indebolire il negoziato usando a spada tratta le opposizioni al presidente Assad.
L’Hnc, l’Alto Comitato per i Negoziati, ombrello delle opposizioni nato a Riyadh a dicembre, dopo giorni trascorsi a minacciare un boicottaggio del dialogo, ieri ha affondato il colpo: voleremo a Ginevra, hanno detto, solo se saranno rispettate determinate precondizioni. La fine degli assedi governativi e lo stop dei raid russi, che però secondo Mosca hanno come target l’Isis. Diversa l’opinione del fronte anti-Assad che li ritiene diretti ai ribelli. Per questo, in una lettera a de Mistura e al segretario generale Onu Ban Ki-moon, l’Hnc chiede rassicurazioni in merito alla fine dei bombardamenti prima di sciogliere la riserva.
Ginevra traballa ancora. Se anche si arrivasse al dialogo, è difficile immaginare il raggiungimento di un risultato positivo. Damasco, accettato l’invito in Svizzera, non parla finendo per apparire come l’unica interessata alla pace.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento