Ha provato Sigmar Gabriel, ministro degli Esteri tedesco, a gettare acqua sul fuoco delle relazioni diplomatiche turco-tedesche: «I rapporti tra i nostri due paesi sono certamente sotto stress, è nostro dovere riportarli alla normalità», pur volendo sottolineare che «conosciamo il valore della libertà di espressione, ma la legge e le norme del decoro devono essere rispettate».

Come a dire: si può discutere e trovare una soluzione, ma nei modi e nei toni che la diplomazia deve garantire. Il riferimento è al caso dei ministri turchi della Giustizia Bozdag e dell’Economia Zeybecki, le cui apparizioni elettorali in vista del referendum di aprile erano state annullate dalle autorità locali delle cittadine di Gaggenau e Colonia ufficialmente per timori relativi alla sicurezza e all’ordine pubblico.

Il compito del ministro appare tuttavia arduo, considerate le bordate che arrivano da Ankara. Il presidente turco Erdogan, dopo aver definito il divieto una «misura fascista» analoga a quelle adottate dai nazisti, ha dichiarato: «Andrò [in Germania] se voglio. Dovessero impedirmelo, negarmi la possibilità di tenere un discorso, allora sconvolgerò il mondo».

Erdogan si è anche lamentato di vedere suoi ministri non poter raggiungere l’elettorato quando recentemente sarebbe invece stato concesso a Cemil Bayik, uno dei leader del Pkk, di partecipare ad una teleconferenza.

Le parole di Erdogan non sono ovviamente piaciute a Berlino, che per bocca del portavoce del governo Seibert ha dichiarato che paragoni tra l’attuale repubblica federale e il regime del terzo Reich sono «assurdità che conducono soltanto alla banalizzazione di quelli che furono crimini contro l’umanità».

Una condanna delle parole di Erdogan è arrivata anche da Gokay Sofuoglu, presidente della Comunità Turca in Germania, che raccoglie 270 diverse sigle di rappresentanza. Sofuoglu ha definito le parole di Erdogan «un passo troppo lungo», facendo comunque appello affinché sia consentito ai politici turchi di fare campagna in Germania per poter dare un positivo esempio di libertà d’espressione.

Secondo la Reuters, per questa sua critica ad Erdogan avrebbe ricevuto minacce e accuse di «essere un terrorista», tanto da spingerlo a rivolgersi alla polizia.

Nella sera di lunedì l’ennesimo strappo: annullato anche il comizio dell’ex ministro dell’Energia Taner Yıldız a Kelsterback, dopo che il contratto d’affitto dell’edificio destinato alla conferenza è stato improvvisamente cancellato.

A stretto giro di posta è arrivato poi l’annuncio che il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha annullato il viaggio ad Amburgo, previsto per oggi.

Difficile non vedere in questa decisione una risposta del governo di Ankara che però potrebbe costare assai cara, visto che soltanto il 25 febbraio scorso il viceministro Mehmet Simsek era volato a Berlino per incontrare il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble e chiedere sostegno per una situazione economica sempre più precaria e insostenibile per la Turchia, in particolare per il settore turistico, fino a pochi anni fa florido anche grazie agli arrivi dalla Germania.

La situazione diplomatica appare quindi in caduta libera in vista dell’importante referendum costituzionale turco che si terrà il 16 aprile prossimo e che in Germania vedrà chiamati alle urne un milione e mezzo di potenziali elettori, una delle più grandi circoscrizioni elettorali dopo le grandi città turche come Istanbul.

Un bottino importante sia numericamente (a dispetto della generale bassa affluenza, meno del 10% alle elezioni che nel 2014 misero Erdogan sul seggio presidenziale) sia dal punto di vista simbolico, ora più che mai.