Il summit trilaterale che si sarebbe dovuto tenere a Bruxelles il prossimo febbraio tra Svezia, Finlandia e Turchia per definire l’ingresso di Stoccolma e Helsinki nell’Alleanza atlantica – per il quale serve l’assenso di tutti i paesi membri, compresa la Turchia – è stato rimandato «indefinitamente». Lo riporta la televisione statale turca Trt, che cita fonti diplomatiche di Ankara.

La motivazione ufficiale: Ankara è furiosa perché sabato scorso Stoccolma non ha impedito manifestazioni di dissenso verso l’adesione svedese alla Nato e verso le politiche autoritarie del governo turco. Migliaia di persone in piazza a sostegno del popolo curdo hanno marciato per la capitale.

Ma non solo: Rasmus Paludan, leader del movimento danese di ultradestra Stram Kurs, ha bruciato una copia del Corano davanti all’ambasciata turca a Stoccolma. Da cui la reazione del presidente turco Erdogan che è andato dritto al punto: ora la Svezia non si aspetti il via libera tedesco all’ingresso nell’Alleanza atlantica.

Un ingresso travagliato, non solo dai mal di pancia interni (la messa in discussione di una neutralità lunga decenni e che pareva ormai assodata), ma anche dalla capacità della Turchia di trarne il giusto profitto. Erdogan ha stilato nei mesi scorsi la sua lista dei desideri, messa nero su bianco a fine giugno in un apposito memorandum d’intesa: la fine del sostegno a Ypg/Ypj, le unità di difesa del Rojava (il Kurdistan in Siria); il ritiro dell’embargo delle armi alla Turchia imposto da Helsinki e Stoccolma dopo l’ultima invasione della Siria del nord-est nel 2019; la deportazione di attivisti turchi considerati terroristi da Ankara, ovvero curdi, esponenti della sinistra e gulenisti.

Ha già ottenuto molto, dalla fine dell’embargo a qualche deportazione (l’ultima: a inizio dicembre è stato cacciato Mahmut Tat, curdo, condannato in Turchia a sei anni e 10 mesi di reclusione per presunta appartenenza al Pkk). Ma a Erdogan non basta mai.

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Uefa, la diplomazia del calcio in azione

Mentre la diplomazia internazionale non tocca palla sulla possibilità di arrivare almeno a un cessate il fuoco e tra russi e ucraini, e la spaccatura tra Occidente e Russia appare sempre più insanabile, qualcosa si muove nel mondo parallelo del calcio. Ieri si è tenuto il primo incontro
tra rappresentanti della Federazione calcistica russa (Rfu) e una delegazione dell’Uefa (l’Unione delle federazioni calcistiche europee) da quando le squadre russe sono state sospese da Uefa e Fifa a tempo indeterminato a causa dell’aggressione all’Ucraina. L’ufficio stampa della Rfu fa sapere dell’esistenza di una procedura per sviluppare un’ulteriore cooperazione in vista del possibile ritorno delle squadre russe nelle competizioni internazionali. Il prossimo bilaterale a febbraio.

Putin ammette: «Mancano i farmaci»

Malgrado l’aumento della produzione interna di farmaci di circa il 22% dal’inizio della guerra per fare fronte alle sanzioni occidentali (che comunque non colpiscono i farmaci da prescrizione), in Russia cominciano a scarseggiare determinate medicine. Senza specificare quali, Putin lo ha riferito nel corso di una delle sue abituali riunioni televisive con membri del governo e i funzionari di questo o quel settore dell’amministrazione pubblica. «Il 60% dei farmaci che circolano attualmente nella Federazione sono di produzione russa – ha detto Putin – tuttavia in alcuni casi si è verificato un deficit e i prezzi sono aumentati». Nel corso del 2022 dell’1,9%, dicono i dati. Da qui l’invito a creare riserve sufficienti rivolto da putin ai ministeri competenti.