Mentre le cancellerie europee tentano di riportare i toni della diplomazia entro i limiti consueti, da Ankara giungono nuovi attacchi. Il presidente Erdogan ha accusato l’Olanda di avere una storia sporcata dal sangue di 8.000 bosniaci, per lo più di fede musulmana, uccisi nel massacro di Srebrenica nel corso delle guerre balcaniche degli anni ’90: «Sappiamo bene la scarsa moralità, civiltà e maniere degli olandesi. Lo ricordiamo per il ruolo che ebbero nel massacro di Srebrenica. Nessuno può impartirci lezioni, specialmente chi ha le mani lorde di sangue». Accuse che il primo ministro olandese Rutte che rigettato come «falsità storiche».

Erdogan ha anche condannato l’Euro-fascismo, bollandolo come un problema non solo per i turchi, ma per tutti i musulmani che vivono in Europa, e promettendo di rafforzare gli sforzi contro xenofobia e islamofobia anche in seno all’Organizzazione della cooperazione islamica, al momento presieduta dalla Turchia. «Una parte degli Stati europei non accetta la crescita e il ruolo della nuova Turchia», ha sottolineato il presidente turco.

Le ragioni dell’aggressività di Ankara trapelano dalle parole di Mehdi Eker, responsabile per le relazioni estere del partito di governo Akp, pronunciate nel corso di un comizio in Svezia, paese che ha deciso di non impedire agli esponenti del governo turco di fare campagna referendaria: «Olanda e Germania hanno dichiarato esplicitamente il loro sostegno allo schieramento del No per il prossimo referendum. Cosa v’importa? Questo è un argomento che interessa i soli cittadini turchi».

Sono la sintesi della rabbia e della frustrazione che sta attraversando le élite turche in reazione alla scelta di Germania, Olanda e Danimarca di non consentire o posporre i comizi di diversi ministri turchi. Decisioni che alle orecchie del governo suonano come un’inaccettabile ingerenza in favore del No al referendum.

La partita si accende ancor più se si guarda ai sondaggi pubblicati periodicamente sui media turchi. La forbice tra i due schieramenti si è assottigliata con il passare delle settimane ed ora soltanto 1-2 punti percentuali separerebbero il Sì dal No, con uno o l’altro schieramento che prevale a seconda dei poco limpidi metodi statistici adottati da questa o quell’agenzia.

Il peso dei tre milioni di potenziali elettori turchi sparsi in Europa potrebbe quindi giocare un ruolo rilevante, se non determinante, nell’esito referendario, la cui campagna è incentrata sulla difesa di una nazione che deve difendersi dai molti nemici, interni ed esterni. Da qui le continue tensioni che si riversano oltre i confini nazionali.

Erdogan ha posto in cima alla lista delle priorità politiche la realizzazione del progetto presidenziale e l’intero apparato statale è sotto pressione per portare a casa il risultato. Ad un passo dal realizzare il suo sogno politico e sostituirsi ad Ataturk nella storia della Turchia, il presidente non intende cedere di un millimetro ed è disposto a balcanizzare ogni relazione diplomatica se ciò porta a mobilitare il sentimento nazionalista dei turchi all’estero e, quindi, voti a suo favore.

I 400.000 elettori turchi in Olanda non avranno un peso solo nel referendum di aprile, ma anche nelle elezioni politiche olandesi, dove tra i 28 partiti che si sono presentati alle urne c’è anche Denk, fondato da due cittadini olandesi di origine turca. Lo scontro diplomatico ha scoperto il nervo, sempre sensibilissimo ed elettoralmente assai utile, del nazionalismo turco. Le urne olandesi diranno presto quale sarà la reazione di una comunità assai numerosa come quella turco-olandese.