Il presidente turco Erdogan ieri ha alzato ancora l’asticella dello scontro con Unione europea e Stati uniti. Al centro dell’ultima schermaglia sta il caso di Osman Kavala, filantropo turco detenuto da ottobre 2017.

Su di lui pesa l’accusa di aver preso parte al tentato golpe del luglio 2016, imputato dalle autorità turche alla rete Hikmet dell’imam Gülen. Kavala era già stato processato per le proteste di Gezi Park del 2013, partite dalla difesa del parco a Taksim Square e diventate una mobilitazione contro le politiche del governo Akp. Era stato assolto, ma poi quel processo era stato «rianimato» e fatto confluire nel secondo.

Ieri Erdogan, di ritorno dall’Africa, ha minacciato di espulsione gli ambasciatori di dieci paesi (Usa, Francia, Germania, Canada, Danimarca, Olanda, Norvegia, Svezia, Finlandia e Nuova Zelanda), colpevoli di aver chiesto il rilascio di Kavala: «Siete voi a dover dare lezioni alla Turchia? Chi credete di essere?».

Due giorni prima, martedì, il ministero degli esteri turchi li aveva convocati definendo «irresponsabile» il comunicato con cui insieme chiedevano una soluzione al caso, come tra l’altro aveva fatto già due anni fa la Corte europea dei Diritti umani, secondo cui mancano del tutto le prove della colpevolezza di Kavala.

«Il nostro sistema giudiziario – ha proseguito Erdogan – è uno dei più begli esempi di indipendenza». Non sembrerebbe, soprattutto alla luce dell’ondata di epurazioni seguita proprio al tentato golpe e che ha permesso al governo di licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici, insegnanti, giudici, professori universitari, militari, ridisegnando di fatto la geografia politica delle istituzioni dello Stato.

Se e quando gli ambasciatori saranno espulsi non si sa, il ministero si è limitato a un «quando sarà il momento». Difficile succeda, Ankara non ha bisogno di aprire casi diplomatici con alleati della Nato. La boutade rientra nel personaggio Erdogan e nella necessità di mostrarsi al paese come leader senza paura. E magari fargli dimenticare tutti i guai interni, a partire dalla crisi.