Sarebbe esagerato, ricordando la storica ostilità tra turchi e sauditi, tornare all’inizio del XIX secolo, alla guerra tra Ottomani e l’Emirato di Diriyah, il primo «Stato» saudita-wahhabita (responsabile del massacro di migliaia di sciiti a Kerbala) distrutto da Mohammed Ali, il governatore e modernizzatore dell’Egitto agli ordini del Sultano. Basta un salto all’indietro di quattro anni, all’ottobre del 2018 quando nel consolato saudita ad Istanbul agenti segreti giunti da Riyadh uccisero e fecero a pezzi il giornalista Jamal Khashoggi «reo» di criticare la monarchia saudita e lo spietato principe ereditario Mohammed bin Salman, più noto all’estero come MbS. Contro il rampollo reale, ritenuto il mandante di quel brutale assassinio, si scagliò a più riprese il presidente turco Recep Tayyip Erdogan invocando giustizia e sanzioni.

In una regione dove è in atto un ampio riallineamento di vari paesi conseguente agli Accordi di Abramo del 2020 che hanno elevato Israele a protettore delle monarchie sunnite al posto degli Usa, Erdogan che sogna per la Turchia un’influenza simile a quella dell’impero ottomano, l’altro giorno ha accolto ad Ankara con grandi onori MbS proveniente da Egitto e Giordania, riconoscendogli di fatto il rango di un capo di Stato al termine di un percorso di riavvicinamento durato mesi. Lo scorso aprile la Turchia ha deciso di sospendere il processo agli imputati per l’omicidio di Khashoggi e di trasferire il fascicolo a Riyadh. Quindi la visita ufficiale del 7 aprile di Erdogan a Gedda. La compagna turca di Khashoggi, Hatice Cengiz, ha twittato che la visita di MbS «non cambia il fatto che sia responsabile di un omicidio, è un killer».

Turchia e Arabia saudita hanno concordato di iniziare una «nuova era» nelle relazioni bilaterali. «Le due parti affermano lo sforzo per intensificare la cooperazione, il coordinamento e lo scambio di opinioni su questioni importanti nelle arene regionali e internazionali, in un modo che contribuisca a rafforzare la sicurezza e la stabilità nella regione», recita il comunicato diffuso dopo l’incontro tra Erdogan e MbS. Riyadh ha ringraziato Ankara per aver sostenuto la sua offerta di ospitare Expo 2030.

Nel sistema liberista tanto apprezzato da re, principi e presidenti mediorientali, ciò che conta più di tutto è il denaro. E grazie a gas e petrolio ne scorre un fiume da queste parti. Ankara che deve fare i conti con un continuo deprezzamento della lira turca sa che la sostituzione del gas russo diretto in Europa è un affare miliardario a cui deve partecipare, a maggior ragione ora che Israele ha firmato un accordo con Egitto ed Europa. Il rilancio nei rapporti con Riyadh segue infatti il riavvicinamento tra la Turchia e gli Emirati che alla fine del 2021 ha sbloccato intese per miliardi di dollari tra i due paesi. A gennaio Abu Dhabi ha firmato uno scambio di valuta da 4,9 miliardi di dollari con la Turchia e programmato un fondo da 10 miliardi di dollari per gli investimenti.

Piatto ricco mi ci ficco. Anche il re di Giordania Abdullah II ha messo fine all’avversione per gli Accordi di Abramo che hanno spostato ai margini il suo regno, fino al 2020 principale alleato arabo di Israele, ruolo ora passato ad Abu Dhabi. Ieri, dimenticando l’appoggio dato ai palestinesi isolati dal patto tra Israele e arabi, si è recato negli Emirati per colloqui con Mohammad bin Zayed al Nahyan. Al centro degli incontri il miglioramento delle relazioni e un maggior coordinamento diplomatico, politico ed economico. La visita è avvenuta a meno di un mese dalla missione in Medio oriente del presidente Usa Joe Biden, che a metà luglio dopo Israele andrà in Arabia saudita con i leader dei sei paesi del Ccg insieme a Egitto, Giordania e Iraq. Biden sdoganerà in via definitiva MbS e, pare, formulerà una road map per la normalizzazione tra Israele e Arabia saudita.