Una visita lampo nei tempi, non nei contenuti. Si può riassumere così la trasferta mattutina della premier Giorgia Meloni in Tunisia per incontrare il presidente della Repubblica Kais Saied e la prima ministra Najla Bouden Romdhane. Al centro delle discussioni, in un contesto «di amicizia storica e profonda», l’incerta situazione economica che sta vivendo il piccolo Stato nordafricano e il dossier migratorio, da anni una delle priorità delle relazioni tra Roma e Tunisi.

Meloni si è recata prima al palazzo presidenziale, dove i colloqui con Saied sono durati più di un’ora e mezza, e dopo alla sede del governo in place de la Kasbah. A margine degli incontri la premier italiana ha tenuto un discorso di quasi dieci minuti chiuso ai media italiani e ai giornalisti stranieri, nonostante un punto stampa fosse stato convocato la sera prima da Palazzo Chigi presso la residenza dell’Ambasciata italiana a Tunisi.

DALLE PAROLE di Meloni si possono dedurre almeno tre elementi di analisi: il sostegno quasi incondizionato dell’Italia nei confronti di un paese che rappresenta un alto interesse strategico; la garanzia di Roma nelle trattative con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per chiudere un prestito da quasi 1,9 miliardi di dollari – condizionato all’avvio di alcune riforme – che rappresenterebbe una boccata di ossigeno per Tunisi ma le cui conseguenze sul lungo periodo potrebbero minare ulteriormente il già precario potere di acquisto dei tunisini «Ma bisogna essere pragmatici», ha sottolineato la premier lasciando intendere che l’emergenza, soprattutto per l’Italia ma non solo, riguarda il blocco delle partenze. Terzo: il rafforzamento economico a favore, appunto, delle autorità di sicurezza locali per bloccare nuove partenze dopo il picco registrato lungo tutto il 2023. Un elemento, quest’ultimo, che si inserisce in un quadro già operativo e funzionante: da inizio anno sono state più di 23mila le intercettazioni in mare effettuate dalla guardia costiera tunisina (dati di Agenzia Nova).

Non è un caso che la premier abbia invocato i solidi rapporti tra i due paesi per ricordare che serve una collaborazione da entrambe le parti «per la stabilizzazione e la crescita della democrazia in Tunisia». Parole durate pochi secondi ma che nascondono una scomoda realtà: il processo di transizione democratica è di fatto bloccato dal 25 luglio 2021, giorno in cui il presidente della Repubblica Kais Saied ha sciolto il governo, congelato il parlamento e inaugurato una fase di pieni poteri culminata con discorsi razzisti e xenofobi nei confronti della comunità subsahariana presente nel paese e proseguita con una campagna di arresti contro attivisti, oppositori politici e giornalisti.

IN QUELLO che è stato visto come «un viaggio cruciale» da parte della Commissaria agli affari interni dell’Unione europea Ylva Johansson, la mancata presa di posizione di Giorgia Meloni è destinata a fare rumore. Tuttavia, le priorità in questo momento sono altre. In primis garantire liquidità economica a Tunisi attraverso il prestito dell’Fmi o altre forme di finanziamento. L’istituto di Washington si è dimostrato più volte contrario a offrire una linea di credito sostanziosa a un paese e a un presidente che non ha intenzione di accettare le condizioni proposte. L’Italia ha ribadito il suo impegno per fare da ponte a queste trattative e ha rilanciato l’idea di Saied di organizzare in tempi brevi una conferenza internazionale a Roma sulla migrazione che coinvolga non solo la Tunisia ma anche i paesi del Nord Africa, la regione del Golfo e del Medio Oriente allargato nella speranza di fare da volano a possibili linee di credito che non dipendano esclusivamente dall’Fmi.

L’altra priorità è il rafforzamento delle frontiere marittime per bloccare le partenze con il sostegno dell’Unione europea. Se la Tunisia dovesse precipitare a livello economico non sarebbe una cattiva notizia solo per motivi migratori ma anche per altri interessi strategici come il collegamento elettrico Elmed che dovrebbe unire le due sponde del Mediterraneo e che, secondo le parole di Meloni, «potrebbe garantire alle due nazioni di diventare un importante hub energetico». Dentro questo scenario, sull’altare degli sconfitti potrebbero finire le rivendicazioni della società civile tunisina la quale, in una manifestazione a Tunisi tenutasi in contemporanea con la visita della premier, ha definito «Giorgia Meloni persona non grata».