Sono giorni di “occupazione climatica”, nelle università italiane. End Fossil, la campagna internazionale nata nel 2022 e approdata in Italia quest’anno a maggio, è ora alla sua seconda edizione con sempre più Università occupate.

Il 16 novembre studenti e studentesse hanno occupato l’Università di Pisa, a seguire è stata occupata la Sapienza di Roma. A Torino, da lunedì scorso, è in atto l’occupazione del Campus Einaudi. Occupato anche il chiostro dell’Università di Parma e da lunedì prossimo si annunciano mobilitazioni alla Statale di Milano.

“Il vuoto lasciato dai costanti tagli all’istruzione ha aperto grossi spazi ad aziende ecocide come Eni (e società sorelle) nel finanziare didattica e ricerca nelle università” denuncia il collettivo di Pisa. “Chiediamo l’interruzione degli accordi di UniPi con Eni e società affini, la creazione di un corso sulla crisi climatica per tutti i dipartimenti, fatto da professori liberi dal ricatto di aziende private e la costruzione, a partire dall’università, di comunità energetiche (Cers) per un approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili ed al tempo stesso solidale con i quartieri circostanti”.

Anche a Ravenna, città del petrolchimico, tradizionalmente legata al fossile, gli universitari della sede distaccata dell’Alma Mater di Bologna, hanno organizzato un’assemblea aperta di End Fossil: “Su Ravenna pendono opere quali CCS e rigassificatore – spiegano – ed è particolarmente invadente la presenza dell’Eni all’interno del campus ravennate, con il corso universitario ‘offshore engineering’ e con la triangolazione tra il Comune, da sempre favorevole al rigassificatore e agli impianti fossili, il rettorato ed Eni”.

La marcia End Fossil Fuel a New York il 17 settembre 2023, foto Epa

Oltre a chiedere la totale trasparenza e la revisione degli accordi tra le Università e le industrie estrattive, la campagna propone l’inserimento obbligatorio di un insegnamento sulla crisi ecosociale all’interno degli spazi universitari.

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Viene contestata anche il legame tra Università e mercato militare.

Nell’università di Padova, occupata in solidarietà alla Palestina, gli studenti denunciano “i rapporti tra l’ateneo, le industrie belliche come Leonardo e le banche come Intesa San Paolo che finanziano la guerra”. Mentre in una nota il collettivo studentesco di Torino spiega: “L’UniTo così come il Politecnico di Torino, stipula accordi con soggetti quali l’Eni, azienda tra le 100 più inquinanti che da sole si rendono responsabili del 71% delle emissioni di CO2 mondiali. Non solo: l’industria della guerra, anch’essa distruttrice di ecosistemi interi (oltre che di un numero incalcolabile di vite umane), ha legami ancora più stretti con i nostri atenei, tramite innumerevoli partnership con aziende quali Leonardo e Thales Alenia. Gli uffici di queste aziende sorgeranno fianco a fianco a quelli di UniTo e PoliTo nella nuova Cittadella dell’Aerospazio, contro la quale ci mobiliteremo il 29 novembre, mentre il Ministro dell’Ambiente Fratin sarà impegnato a decantarne le lodi all’Oval di Lingotto insieme ai dirigenti dell’industria bellica e alla governance della nostra università.La fusione tra interessi militari ed energetici – continuano – si esplica perfettamente nella recente assegnazione a Eni, da parte del governo israeliano, di permessi di estrazione di gas naturale al largo delle coste palestinesi. Così Israele premia e mantiene il supporto strategico italiano alle proprie politiche criminali: ecocidio e genocidio, in Medio Oriente come nel resto del mondo, vanno di pari passo”.

L’occupazione all’università di Pisa

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Secondo il report realizzato da Recommon e da Greenpeace, 36 università su 66 contattate dichiarano di avere rapporti con Eni di finanziamento, accordi, patrocini o collaborazioni strutturali.

I finanziamenti di Eni alla ricerca passano anche attraverso lo stanziamento di fondi a vari corsi di dottorato di ricerca delle università pubbliche italiane. Al 10 maggio 2023 Eni riportava che le borse di dottorato di ricerca finanziate dal Cane a sei zampe e le sue Società fossero 89.