Sulla prestigiosa rivista di medicina JAMA Internal Medicine, un gruppo di ricercatori ha pubblicato un articolo che sta sollevando temi molto importanti in quest’epoca di erosione dei servizi sanitari pubblici e di una medicina sempre più tecnologizzata e finanziarizzata.

Gli scienziati hanno collezionato 195 domande su problemi medici o terapie da social media come reddit e AskDocs con le relative risposte generate da un medico umano. Poi hanno fatto generare ex-novo da ChatGPT una nuova risposta a ogni domanda senza conoscere quella originale.

La tripletta composta da domanda originale, risposta del medico umano e risposta di ChatGPT (avendo cura di non renderle identificabili) è stata sottoposta alla valutazione di un team di professionisti sanitari. Ognuno di essi ha valutato quale sia stata la risposta “migliore” e il livello di qualità, empatia, e capacità comunicativa con un voto da 1 a 5.

Risultato? Delle 195 risposte, i valutatori umani hanno preferito quella scritta da ChatGPT quasi l’80% delle volte ma – cosa ancora più inaspettata -, la percentuale di risposte giudicate molto empatiche (voto 4 o 5) è stata data solo al 5% per gli umani ma ben al 45% per le frasi generate da ChatGPT.

Questo dato sorprendente fa riflettere su molti aspetti non solo tecnologici ma anche sociali.

Nel cercare di capire cosa potrebbe essere trasformato, nel bene e nel male, nella nostra società e nel mondo delle professioni, si è sempre sbrigativamente concluso che mai la tecnologia potrà sostituire i rapporti umani, ma dopo un risultato del genere ne siamo proprio sicuri?

Si dovrebbero aprire riflessioni profonde su come la natura umana interpreta queste tecnologie e come meccanismi di psicologia sociale plasmati in Homo Sapiens negli ultimi 300 millenni, tra cui la facoltà chiamata “teoria della mente” che i nostri cuccioli sviluppano attorno ai 4 anni di vita, attraverso quel potentissimo strumento che è il linguaggio umano, ci illudano facendoci credere che sistemi di calcolo e piccole cariche elettriche siano intelligenti e addirittura capiscano i nostri bisogni, i nostri pensieri e le nostre emozioni.

Da (ex) medico che conosce bene il lavoro dei professionisti della salute riconosco anche una causa dell’apparente superiorità emotiva di ChatGPT nella eccessiva finanziarizzazione e burocratizzazione della clinica, che produce mostri quali la “desktop medicine” per la quale oltre la metà del tempo di incontro tra medico e paziente è speso nella interazione con un terminale e in cui la generazione di rapporti e statistiche a servizio del funzionamento della macchina amministrativa diventano una larga parte di una professione che di vocazione avrebbe l’aspirazione di dedicarsi solo alla persona che è lì davanti e ai suoi bisogni.

Non è un caso che il “burn-out”, l’esaurimento psico-fisico,  sia sempre più frequente tra chi lavora in corsia o in prima linea.

Quindi auspichiamo che la tecnologia possa proprio essere introdotta nel sollevare pazienti e chi assiste e cura dalle code, dalle prenotazioni, dalle richieste, dalle statistiche, dalle cartelle e restituisca invece il tempo di ascolto reciproco, di cura e cultura, che sono davvero una prerogativa squisitamente umana e che si basano su una conoscenza del mondo e delle idee a cui ChatGPT non ha accesso.