Emilia Romagna, nuove regole per la ricostruzione del territorio
Il Piano speciale preliminare appena pubblicato contraddice Stefano Bonaccini
Il Piano speciale preliminare appena pubblicato contraddice Stefano Bonaccini
Le aree allagate dai due eventi alluvionali di maggio 2023 in Emilia-Romagna sono colorate di un azzurro mare. La mappa che ne restituisce la Perimetrazione, curata dall’Agenzia regionale per la Sicurezza Territoriale e Protezione Civile, rende evidente che cosa significa dire «la Romagna è finita sott’acqua». Tra Imola (BO) e Gambettola (FC) l’azzurro prevale. La carta gemella, punteggiata di arancione, ricostruisce invece le oltre 80mila frane che si sono attivate sui territori collinari e montani. È la misura di un disastro da cui il territorio fatica ad uscire. A fine aprile, però, è stato pubblicato il Piano speciale preliminare, con l’obiettivo di (ri)definire le «regole del gioco», a fronte di un evento eccezionale e inatteso che ha aiutato a comprendere che i cambiamenti climatici richiedono nuovi strumenti di azione e adattamento. Per questo, il Piano sembra contraddire il presidente della Regione Emilia-Romagna, candidato al Parlamento europeo, Stefano Bonaccini, che a caldo aveva affermato che la volontà di «ricostruire tutto».
Il Piano – frutto di un lavoro coordinato dall’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po – è molto diretto nel prevedere infatti che non ci sia alcun aumento del carico urbanistico che nelle aree alluvionate a maggio 2023: «Sono da escludere i rilasci di titoli abilitativi riguardanti le nuove costruzioni, interventi di demolizione e ricostruzione, ristrutturazione urbanistica, ampliamenti fuori sagoma e ogni altro intervento, anche temporaneo che comporti aumento di carico urbanistico, inclusi i cambi di destinazione d’uso anche senza opere edilizie». È poi previsto che i Comuni dopo attenta valutazione facciano un elenco «dei manufatti e degli edifici da delocalizzare», a partire dai manufatti e dagli edifici oggetto delle Ordinanze di evacuazione e di inagibilità.
In ambito montano, si parla di un perimetro potenziale di 3.400 edifici, per lo più colpiti o minacciati da frane. Sulla pianura, invece, analisi e valutazioni sono ancora in corso. Per quanto riguarda la gestione dei fiumi, il Piano «prevede di realizzare, a partire dai tratti arginati di monte, aree di tracimazione controllata ove riversare la porzione dell’onda di piena che non può essere contenuta nei tratti di valle». L’obiettivo è di arrivare a convogliare in modo controllato una porzionale dell’eventuale piena in aree a minor vulnerabilità e caratterizzate da un uso del suolo prevalentemente agricolo, per salvaguardare così le aree caratterizzate da una «maggiore esposizione» in termini di beni e valori insediati.
Quanto definito è in vigore fino all’aggiornamento dei Piani di assetto idrogeologico (PAI) delle aree, quindi per un periodo fino a 3 anni, grazie a misure temporanee di salvaguardia definite in un Decreto del segretario dell’Autorità di bacino, pubblicato il 7 maggio scorso. «In attesa della definizione dei nuovi PAI, rimane congelata la concessione di nuovi titoli edilizi che in futuro potrebbero crearti problemi, magari in aree che andremo ad individuare per la tracimazione controllata», spiega Sandro Bratti, segretario dell’Autorità di bacino del fiume Po.
Tutte le misure descritte trovano riscontro nel Rapporto della Commissione tecnico-scientifica che la Regione aveva istituito per analizzare gli eventi meteorologici estremi del mese di maggio 2023. «Bisogna essere ben consapevoli che ogni nuova costruzione su terreni non precedentemente edificati conduce inevitabilmente all’aumento dell’esposizione al rischio, oltreché all’impermeabilizzazione del suolo, con conseguente riduzione dei tempi di concentrazione delle piene e aggravamento dell’instabilità dei terreni superficiali», spiegano i tecnici.
Adesso tocca agli amministratori romagnoli dimostrare di aver capito il messaggio.
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