Emergenza abitativa, il caso Roma
La protesta Gli abitanti delle occupazioni irrompono nella sede del consiglio regionale. Intanto gli sfratti aumentano e le soluzioni mancano. «Nella capitale servirebbero 10mila case popolari nei prossimi cinque anni, ma all’orizzonte non ci sono interventi strutturali», dice Massimo Pasquini, segretario nazionale Unione inquilini
La protesta Gli abitanti delle occupazioni irrompono nella sede del consiglio regionale. Intanto gli sfratti aumentano e le soluzioni mancano. «Nella capitale servirebbero 10mila case popolari nei prossimi cinque anni, ma all’orizzonte non ci sono interventi strutturali», dice Massimo Pasquini, segretario nazionale Unione inquilini
«Questa protesta ha un motivo specifico e uno generale», dice Luca Fagiano, attivista del Coordinamento cittadino di lotta per la casa. Intorno a lui nella sede del consiglio regionale del Lazio ci sono una cinquantina di persone, alcune hanno aperto delle tende mentre altre si sono incatenate. Ci rimarranno per diverse ore fino a un incontro con alcuni referenti istituzionali.
Il «motivo specifico» è la vertenza che riguarda Casal de Merode, occupazione nel quartiere di Tor Marancia che da 16 anni è la casa di una sessantina di famiglie. Gli abitanti vengono da Italia, Capo Verde, Libia, Tunisia, Marocco, Polonia, Moldavia, Etiopia, Eritrea. E anche Ucraina. Hanno trasformato due delle tre palazzine dell’ex istituto San Michele in appartamenti, sistemato il giardino che è attraversato anche dal quartiere e organizzato due sale prove per compagnie teatrali e iniziative politiche e culturali.
«LA PRIMA GIUNTA Zingaretti aveva disegnato un piano per l’emergenza abitativa rimasto in larga parte inapplicato. Restava il recupero di questa occupazione, per cui sono stati stanziati una quindicina di milioni dal fondo ex Gescal. Per far acquistare le unità abitative all’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale, ndr) e offrire servizi al territorio attraverso un pezzo di patrimonio pubblico», dice Fagiano. Gli occupanti hanno atteso l’inizio dei lavori per sei anni. Alcuni giorni fa hanno saputo che la gara d’appalto era stata indetta per una solo palazzina. Dopo alcuni tentativi di interlocuzione con la regione andati a vuoto sono entrati in azione.
La protesta si è conclusa con un documento firmato dal capo di gabinetto della regione Lazio Andrea Napoletano, ex direttore generale Ater, e dall’assessore alle politiche abitative Massimiliano Valeriani (Pd). «La regione ha confermato l’impegno nel monitoraggio della riqualificazione delle tre palazzine site in via Casale de Merode e contestualmente ha aggiornato il cronoprogramma con le prossime iniziative che verranno assunte», si legge in una nota. I lavori dovrebbero partire dopo l’estate e riguardare sia l’aspetto abitativo che quello dei servizi per la cittadinanza.
IL «MOTIVO GENERALE» della protesta, invece, è quello che gli attivisti dei movimenti di lotta per la casa definiscono «un clima di preoccupazione diffusa». Entro il prossimo giugno è previsto lo sgombero delle occupazioni di Valle Fiorita e viale delle Province, che ospitano rispettivamente 70 e 140 famiglie. Cioè diverse centinaia di persone. In entrambi gli edifici il comune ha censito le presenze. Nel primo con una prova di forza a maggio dello scorso anno, nel secondo in modo concordato a febbraio. Adesso si attende una cabina di regia che, dando seguito alla trattativa tra occupanti e istituzioni, individui e assegni le case in cui trasferire le persone.
Il modello è quello che ha portato a luglio 2021 alla chiusura di un’altra grande occupazione romana, quella di viale del Caravaggio. Da dove 90 nuclei familiari sono stati trasferiti in case popolari, grazie a lunghi anni di battaglie. Il problema è che dopo molti mesi sono ancora in attesa dei contratti che mettano in regola la loro posizione.
INTANTO CON L’INIZIO del nuovo anno in città e nel resto del paese sono ripresi gli sfratti. Il blocco era stato decretato all’inizio della pandemia. «Aumentano ogni giorno di più, ma mancano soluzioni per evitare che la gente finisca in strada», dice Massimo Pasquini, segretario nazionale dell’Unione inquilini. Numeri precisi non ce ne sono, ma secondo le stime dell’organizzazione sindacale a Roma sarebbero da eseguire 10 sfratti al giorno. Con un aumento degli interventi delle forze dell’ordine registrato nell’ultimo mese. «Il problema è che nei quasi due anni del blocco il comune e le altre istituzioni non hanno fatto nulla per aumentare gli alloggi popolari – afferma Pasquini – Dal Pnrr non arriveranno interventi strutturali. A Roma servirebbero 10mila case nei prossimi cinque anni per far fronte all’emergenza abitativa».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento