Embargo alla Turchia, tre mesi dopo le promesse il decreto non c’è
Roma/Ankara Il 14 ottobre scorso il ministro Di Maio prometteva entro poche ore il blocco delle autorizzazioni alla vendita di armi (future) alla Turchia. Ma del decreto non c'è traccia. E tra gennaio e settembre l'export militare verso Ankara ha goduto di un nuovo boom
Roma/Ankara Il 14 ottobre scorso il ministro Di Maio prometteva entro poche ore il blocco delle autorizzazioni alla vendita di armi (future) alla Turchia. Ma del decreto non c'è traccia. E tra gennaio e settembre l'export militare verso Ankara ha goduto di un nuovo boom
Partendo per Istanbul, martedì pomeriggio, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha voluto sottolineare quanto Ankara sia «fondamentale in questo momento per quella che è la guerra in Libia». In Turchia ha visto il suo omologo, Mevlut Cavusoglu, con cui ha convenuto sulla necessità di aprire un tavolo di dialogo globale sulla crisi del paese nordafricano, dove Erdogan ha inviato già le prime truppe.
Eppure appena tre mesi fa la stessa Turchia si era attirata le condanne internazionali per l’invasione e l’occupazione (tuttora in corso) del nord est della Siria a maggioranza curda. È ancora lì, insieme a 300mila sfollati dentro e fuori il Rojava e a migliaia di miliziani islamisti che occupano e saccheggiano le comunità locali.
Il 14 ottobre scorso, a cinque giorni dal lancio dell’attacco turco, dal Lussemburgo dove si trovava per il Consiglio Affari esteri della Ue, Di Maio prometteva entro poche ore «un decreto ministeriale» per bloccare «l’export di armamenti verso la Turchia per tutto quello che riguarda il futuro dei prossimi contratti».
Non erano mancate le critiche di chi chiedeva di sospendere anche le autorizzazioni alla vendita già rilasciate. Ma sembrava già qualcosa, un embargo futuro. Ma del decreto ministeriale non c’è traccia.
Tra quelli che ne denunciano l’assenza c’è l’associazione Sardegna Pulita, da anni impegnata per il blocco della vendita di armi all’Arabia saudita dalla fabbrica Rwm di Domusnovas: «Di Maio prese l’impegno di un decreto ministeriale per bloccare la vendita e l’esportazione di armamenti da parte della Rheinmetall, padrona della Rwm, verso la Turchia – spiega Angelo Cremone di Sardegna Pulita – Dichiarazioni riportate da tutta la stampa italiana e internazionale. Non c’è assolutamente traccia del decreto ministeriale sbandierato e garantito nel rispetto della legge 185/90».
La stessa mancanza di un atto ufficiale si era verificata con la questione saudita, su cui il governo ha recepito la mozione parlamentare del 26 giugno scorso (una sospensione di 18 mesi nell’invio di armi a Riyadh) senza però dare alla decisione – come spiegava su queste pagine il 9 agosto Raffaele Salinari – «il formalismo giuridico che le compete».
Nessun embargo presente o futuro, almeno ufficialmente. La Farnesina, ci dice Rete Disarmo, avrebbe declassato il decreto ad atto interno (senza obbligo di pubblicazione) con cui revisionare le autorizzazioni precedenti, ma se questa revisione sia davvero partita non è chiaro.
«Non risulta che la revisione sia stata fatta – ci spiega Giorgio Beretta di Opal – Se non c’è un comunicato ufficiale della Farnesina sull’eventuale sospensione, se non c’è un atto formale, tutto resta com’è. E quello che sappiamo, incrociando i dati a disposizione fino a settembre scorso è che c’è stata una forte esportazione di munizionamento militare, non armi da caccia come ebbe a dire Guido Crosetto, presidente della Federazione delle aziende italiane dell’aerospazio e della difesa ma bombe».
Tra gennaio e settembre 2019 – come riporta un’inchiesta di Beretta e Duccio Facchini per Altraeconomia – sono partite dall’Italia dirette in Turchia armi e munizioni per un valore di 76,2 milioni di euro. Il triplo dello stesso periodo dell’anno precedente (24,9 milioni).
«Sette anni fa, nel 2013, il nostro Paese – scrivono i due autori sulla rivista – l’Unità per le autorizzazioni ai materiali d’armamento (Uama) insediata presso il ministero degli Esteri, aveva dato il via libera all’esportazione di “materiali d’armamento” con destinazione Ankara per 11,4 milioni di euro. Nel 2018 la voce “autorizzazioni” è schizzata a quota 362,3 milioni, collocando la Turchia al primo posto tra i paesi della Nato e al terzo su scala globale dopo Qatar e Pakistan». Tra quei prodotti ci sono bombe, munizioni, siluri, razzi, aeromobili, software, tecnologie, corazzature, apparecchiature per la direzione del tiro. Mentre la Turchia continua a occupare il Rojava e inizia a spedire truppe e mercenari a Tripoli.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento