Perché una biologa, Emanuela Evangelista, decide di vivere in un piccolo villaggio di palafitte, a Xixuaú, formato da 15 famiglie nel cuore dell’Amazzonia nel nord del Brasile? «Sono arrivata in questo luogo nel 2000 come ricercatrice scientifica su una specie minacciata di estinzione, la lontra gigante, che si trova soltanto nelle regioni più remote della foresta amazzonica. Un animale neanche particolarmente amato da queste parti. Dopo 13 anni di pendolarismo tra Italia e il villaggio di Xixuaú, nel 2013 mi sono trasferita stabilmente a vivere qui», racconta Evangelista. «Dal mio arrivo l’impegno di ricercatrice pian piano si è evoluto e nel 2004 per sostenere i nativi dell’Amazzonia nella lotta contro la deforestazione e per la conservazione della foresta tropicale e della sua biodiversità», prosegue, «ho dato vita all’Associazione Amazônia Onlus (www.amazoniabr.org), di cui sono presidente, che ha contribuito, tra l’altro, alla protezione di 600 mila ettari di foresta».

Evangelista, com’è il villaggio in cui vive?
Come tantissimi altri villaggi dell’Amazzonia è situato vicino a un fiume su delle palafitte, c’è una chiesetta, in queste zone sono protestanti o evangelici, una piccola scuola elementare. Alcuni popoli della foresta amazzonica sono sopravvissuti alla colonizzazione altri invece, come quello in cui vivo io, sono la conseguenza della colonizzazione e così si sono intrecciate le popolazioni indigene originarie con gli europei e gli africani che fuggivano alla tratta degli schiavi.

Non sarà stato facile entrare in sintonia con loro?
Si entra lentamente, piano piano, e con il tornare, ritornare, tornare. Andare in queste zone una sola volta non è sufficiente per essere accettati, sono popolazioni che vivono sui fiumi e quindi sono abituate a veder passare gente. Non è scontato che le persone che arrivano qui possano realmente tornare. Quindi la vera accettazione è arrivata con la costanza cioè con il fatto di tornare e ritornare e questo mi ha consentito di entrare in sintonia con loro.

Cosa l’ha sorpresa di più di questo popolo?
Tutti i popoli della foresta hanno storie da raccontare e insegnamenti. Trovo sorprendente la relazione con la magia. Non perché non me l’aspettassi, ma perché non finisce mai di stupirmi. Nel silenzio senti non solo i suoni, la foglia che cade, la pioggia che arriva tamburellando sulle foglie, ma anche le presenze silenziose come i delfini incantati o i serpenti.
Le esperienze di 23 anni vissuti in queste terre le ha da poco raccolte in un libro: «Amazzonia-Una vita nel cuore della foresta» (Editori Laterza, euro 18). Un punto di vista unico!
Il libro è il racconto delle tante Amazzonie che ho avuto il privilegio di conoscere, non solo quella incantata e forestale del cuore dell’Amazzonia. È il racconto di episodi selezionati, di cose che ho visto e di esperienze che ho vissuto. Racconta la vita quotidiana, le conoscenze tradizionali e le difficoltà di questi popoli della foresta che dipendono direttamente dalla natura, dai suoi ritmi, perché vivono di caccia, di pesca, di agricoltura di sussistenza. Partendo dal villaggio in cui vivo porto il lettore in luoghi distanti anche migliaia di chilometri tra loro, dalle Ande fino all’oceano Atlantico, per conoscere e, spero, capire un po’ meglio questo mondo eterogeneo.

Un esempio di questi racconti?
In una miniera illegale d’oro, un «garimpo», che richiama migliaia di cercatori accampati in baracche, sono stata ospite del cercatore che ha trovato una vena d’oro e che quindi viene considerato una sorta di «capo». Lui, oltre ad avere diritto a una percentuale sull’oro trovato dagli altri, deve mantenere l’ordine secondo la loro legge non scritta. Il suo nome è Tarzan, è nato in un «garimpo», ha iniziato a otto anni, è diventato cercatore d’oro come suo padre e non riesce a smettere di cercarlo. Oppure racconto di quando ho accompagnato una missione della polizia federale per far chiudere segherie clandestine e sequestrare tonnellate di legno destinato a farne parquet.

Lei scrive nel libro che abbiamo altri 15 anni per scongiurare il disastro della distruzione dell’Amazzonia. Praticamente niente…
Esatto, niente. Anche perché a giudicare dalle notizie di queste settimane il punto di non ritorno potrebbe essere anche più vicino vista la grande siccità. El Niño, che c’è da sempre, quest’anno sta facendo dei danni nuovi e che nessuno poteva immaginare. Il risultato è che la foresta rimasta non è più in grado di generare le proprie piogge e questo la rende vulnerabile agli incendi, ma soprattutto muore su sé stessa perché le piante ovviamente soffrono uno stress idrico per la mancanza di pioggia e uno stress termico per il molto caldo. Questa moria di alberi negli ultimi anni si è dimostrata più alta del 20-30 per cento.

Tra le cause della distruzione di questo luogo sacro per la biodiversità c’è la coltivazione della soia…
La monocultura a soia aggredisce aree di foresta molto estese convertendole in campi agricoli, in pratica si sostituisce alla foresta. Utilizza composti chimici ovviamente, come sempre fa l’agricoltura intensiva. Il Brasile è diventato tra i primi produttori al mondo di soia che esporta in gran parte in Europa e Cina dove serve per nutrire gli allevamenti intensivi. Quindi ci siamo anche noi consumatori con la nostra dieta tra coloro che distruggono l’Amazzonia.

Ma anche l’estrazione dell’oro…
La ricerca dell’oro è più circoscritta, ma ha un impatto inquinante maggiore perché va a inquinare i fiumi. Per l’estrazione dell’oro utilizzano quando è illegale il mercurio mentre quando è legale il cianuro. Gli impatti sociali in entrambi i casi sono preoccupanti e portano gli indigeni verso la migrazione urbana o si minaccia alla loro salute, come è successo per gli Yanomami.

Con l’avvento di Lula a presidente del Brasile è cambiato qualcosa rispetto all’era Bolsonaro?
Quello che è cambiato con l’avvento di Lula è che possiamo contare su un governo centrale più attento alla questione ambientale. Ma quello che ci dà sicurezza che ciò avvenga è la presenza nel governo di Marina Silva che da sempre si batte per la questione amazzonica. Era già stata ministro dell’ambiente nel primo governo Lula è ora lo è di nuovo. Ci sono 30 milioni di abitanti nell’Amazzonia brasiliana e più della metà sono sotto la soglia di povertà e quindi si dovrà trovare il modo di portare sviluppo. Il fondo Amazzonia che Lula aveva lanciato nel 2007, e poi bloccato da Bolsonaro, è stato riattivato. Ma dal 2007 ad oggi il Brasile ha ricevuto gli aiuti internazionali soltanto da Norvegia e Germania. Dove sono tutti gli altri paesi che hanno inquinato? Dov’è l’Italia?.