Eluana Englaro, condannato l’ex dg sanità lombardo
L'allora direttore generale Carlo Lucchina pagherà 175mila euro per aver contrastato il diritto nel fine vita
L'allora direttore generale Carlo Lucchina pagherà 175mila euro per aver contrastato il diritto nel fine vita
La Corte dei Conti ha condannato in Appello l’ex Direttore generale della Sanità della Lombardia, Carlo Lucchina, per aver impedito nel 2009 ad Eluana Englaro di ottenere l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale cui la donna – in coma vegetativo da 17 anni – dipendeva dal 1992, impedendole così di morire nel modo in cui avrebbe voluto. Un diritto che le era stato riconosciuto sia dalla Cassazione che dalla Corte d’Appello di Milano alle quali il padre Beppino si era rivolto in qualità di tutore. Lucchina dovrà ripagare ora l’erario con i 175 mila euro circa che la Regione Lombardia fu, al tempo, costretta a versare per risarcire il signor Englaro alla fine della sua battaglia legale.
Va ricordato che tra gli ultimi mesi del 2008 e i primi del 2009 la politica italiana fu attraversata da un duro scontro, ottuso come pochi in precedenza, che vide addirittura contrapporsi Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano, allora rispettivamente premier e capo di Stato. Il dramma di una donna in coma vegetativo da quando aveva 21 anni, in seguito ad un incidente stradale, divise profondamente il parlamento e le istituzioni, ma non il popolo italiano che dimostrò grande solidarietà con la sfortunata ragazza e con suo padre Beppino, che per anni si era battuto – riuscendoci – affinché venissero rispettati lo stile di vita e le convinzioni etiche di sua figlia.
Dopo anni di processi e ricorsi, venne autorizzata l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale cui la donna dipendeva per rimanere in vita, malgrado l’insidiosa campagna delle destre, dei pro vita e del Vaticano che pretendevano di considerare i trattamenti medici come sostegni vitali e non cure. Ma il 9 settembre 2008 la Direzione Sanitaria della Regione Lombardia, in barba a quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano, vietò di mettere a disposizione strutture sanitarie regionali per l’interruzione delle cure, spiegando chetali strutture «sono deputate alla presa in carico diagnostico – assistenziale dei pazienti». Beppino Englaro fece ricorso al Tar e lo vinse, ma fu costretto a cercare un ospedale privato per poter «liberare» sua figlia.
Pochi giorni prima, il 6 febbraio, il governo Berlusconi aveva tirato fuori dal cilindro un decreto legge per impedire a Beppino di far staccare la spina. Ma il presidente Napolitano si era rifiutato di firmare per mancanza di requisiti costituzionali. Eluana morì ufficialmente il 9 febbraio del 2009, a 39 anni, nella clinica “La Quiete” di Udine. Proprio mentre il Parlamento veniva convocato in seduta straordinaria per far approvare immediatamente un ddl governativo che vietasse l’interruzione delle cure alla donna. La seduta era in piena ebollizione quando, alle nove di sera, la clinica “la Quiete” annunciò la morte di Eluana Englaro. Il Parlamento si trasformò allora in una piazza medievale nel giorno del mercato.
Ora la Corte dei Conti spiega che la decisione presa dall’ex Direttore generale Lucchina fu dettata da una « concezione personale ed etica del diritto alla salute». «Potevano evitare tutto ciò che hanno combinato, ora si rendono conto, è chiaro che hanno sbagliato e ne devono rispondere – ha commentato Beppino Englaro – Sapevo di avere un diritto ed era chiaro che lo ostacolavano, tanto che sono dovuto uscire dalla regione. Ora sono problemi loro, io giustizia me la sono dovuta fare da me, sempre nella legalità e nella società, loro hanno commesso qualcosa che non dovevano commettere. Per me era tutto chiaro anche allora, li ho dovuti ignorare e andare avanti per la mia strada».
Fd’I parla di «sentenza scandalosa». Pd e Avs ricordano che scandaloso è non avere ancora una legge sul fine vita.
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