L’ultimo exploit di Elon Musk incapsula bene l’autostima senza limiti del miliardario, che, calzato in testa uno Stetson da Texas Ranger, ha annunciato, dal confine col Messico, di essere arrivato per mostrare ai suoi milioni di follower «cosa avviene davvero» sulla frontiera meridionale.

Il live su Twitter Space (ora “X”) non mostrerà poi molto di inedito oltre alle immagini penose, e ben note, che ricalcano quelle provenienti dai confini fra Sud e Nord del mondo. Più che altro rivelano un altro film, in onda nella mente di Musk, del quale lui è protagonista in veste di giornalista investigativo e paladino infaticabile di nascoste verità. L’implicita denuncia è per «l’apertura dei confini a chiunque», ritenuta scandalosa dal magnate sudafricano destinatario a suo tempo di una cittadinanza Usa per meriti imprenditoriali.

PER MUSK, quello del pistolero della verità è un personaggio che si aggiunge a quello di demiurgo tecnologico e di oligarca globale, ospite fisso di cancellerie e sodale amico di capi di governo. Un tycoon con interessi politici e financo geopolitici che trascendono le semplici sovranità nazionali – vedasi il ruolo del suo sistema di internet satellitare Starlink, nella guerra ucraina e gli accordi diretti di volta in volta intrapresi dal suo ufficio con Usa, Ucraina e Russia.

Come ha rivelato il profilo scritto su di lui da Ronan Farrow per il New Yorker, Musk agisce da imprenditore dallo smisurato peso sugli scenari geopolitico oltre che sulle politiche interne di molti paesi. La sua entrata a gamba tesa nella questione migratoria si inserisce nelle tematiche care all’alt right (immigrazione e «censura») con cui Musk – e la sua piattaforma – sono ormai definitivamente allineati. Ieri il capo di “X” ha ribattuto con un appello affinché gli utenti raddoppino gli sforzi di citizen journalism per combattere il monopolio dei media. Tanto per ribadire l’altro ieri ha chiuso il reparto di “X” preposto a combattere propaganda e le fake news dal ruolo comprovato nell’assalto a Capitol Hill.

Un’indicazione della sua idea di giornalismo «misurato» è stata intanto l’intervista di Tucker Carlson a Donald Trump, ospitata da X. Carlson è l’ex mezzobusto ritenuto troppo controverso perfino per la Fox, a cui Musk ha offerto un programma. D’altronde dopo l’acquisto di Twitter da parte del miliardario sudafricano, la piattaforma social è diventata un aggregatore di tropi razzisti, xenofobi ed estremisti. Molti ritwittati dallo stesso Musk ed amplificati ai suoi 150 milioni di follower. Spesso si tratta di laconici commenti come «interessante» o «preoccupante», apposti a tweet dei numerosi estremisti riammessi da Musk, fra cui Trump, Kanye West, il misogino militante Andrew Tate o il neonazista Nick Fuentes. E lo stesso Musk firma tweet incendiari fra i cui bersagli vi sono i transgender e la «congiura ebraica» (questo mese ha accusato George Soros di «volere la distruzione della civiltà occidentale»).

L’ANTISEMITISMO dilagante sul sito gli è valsa la critica di numerosi osservatori di diritti civili come il Center for Countering Digital Hate che ha comprovato il rifiuto di rimuovere contenuti violenti anche quando segnalati. Per tutta risposta Musk ha querelato l’associazione per diffamazione. La scorsa settimana il volitivo multimiliardario ha ospitato un live con Benjamin Netanhyahu – coordinata operazione di immagine per sdoganare le politiche del premier israeliano e implicitamente assolvere Musk dalle accuse di antisemitismo. Il modello di transazione «mutuamente benefica» che fa di Musk l’alleato perfetto per autocrati e reazionari nel mondo. E viceversa.

Nella sua deriva estremista, Musk è riuscito ad alienare utenti e inserzionisti ed ha sistematicamente demolito quello che ne bene e nel male era stato, nel panorama dei social, un canale trasversale di discorso politico, culturale e giornalistico.