«Condivido l’appello del manifesto, io e il Pd saremo in piazza a Milano il 25 aprile. È un appuntamento particolarmente importante, spero in una straordinaria partecipazione. Questa è una festa di tutta la Repubblica, anche se ancora c’è chi non la riconosce». dice la leader del Pd Elly Schlein.

Quest’anno vede particolari motivi di preoccupazione per la tenuta della Costituzione nata dalla Resistenza?

La recente vicenda della censura Rai a un monologo di Antonio Scurati su Matteotti e l’antifascismo è gravissima, e il 25 aprile sarà l’occasione per coltivare questa memoria collettiva e impedire a chiunque ci provi di riscrivere la storia: una grande piazza a Milano sarà la migliore risposta a tutti i nostalgici. Sarà anche un’occasione per ribadire che vogliamo prenderci cura della Costituzione, anche nelle parti non ancora pienamente attuate, e mi riferisco al tema delle diseguaglianze sociali.

La destra procede in Parlamento con premierato e autonomia.

Due cosiddette riforme che vanno fermate e che sono solo in apparente contraddizione tra loro. Non è solo un baratto tra Meloni e Salvini: in comune c’è l’idea che debba prevalere la legge del più forte, consentendo al premier di decidere sulla vita del Parlamento. E nell’autonomia, che vogliono portare in aula alla Camera già il 29 aprile con una forzatura, c’è l’idea di aumentare le diseguaglianze come se ci fossero italiani di serie A e B, a partire dalla sanità. «Autonomia differenziata» è un termine tecnico che può apparire distante: sotto c’è un attacco alle condizioni materiali di milioni di italiani, e non sarebbe il primo da parte di questo governo.

Dunque sì, saremo in piazza anche per dire «basta» a una destra che ha già fatto partire la campagna ungherese: attacchi a stampa, magistratura, opposizioni, ong, intellettuali. Bisogna fermarli. Ma anche per chiedere un impegno maggiore dell’Ue e dell’Italia per la pace e il cessate il fuoco in Medio Oriente.

Dopo l’approvazione della vostra mozione in Parlamento il governo non ha fatto grandi passi per spingere in questa direzione.

Diciamo che adesso almeno hanno il coraggio di dire «cessate il fuoco». Lo hanno fatto tardi, la strage dei civili a Gaza andava fermata prima, rivendico quel passaggio parlamentare come un fatto positivo. È però evidente che serve uno sforzo diplomatico molto più forte di fronte ai rischi di un conflitto che si allarga anche tra Iran e Israele: la voce della politica ancora non è sufficiente.

C’è una corrente di pensiero, molto presente sui media italiani, e anche tra molti sedicenti liberali, che accusa chi invoca la pace di essere un imbelle di fronte ai nemici dell’Occidente, da Putin ad Hamas.

Gli amici di Putin continuo a vederli non tra i pacifisti, semmai tra gli alleati europei delle destre italiane. L’Ue è nata come progetto di pace e tale deve restare, e per questo chiediamo che abbia una voce sola anche in Medio Oriente. La retorica dello scontro di civiltà è ingrediente di una cultura di guerra che respingiamo. Così come l’idea di un’economia di guerra.

Elly Schlein
Manifesteremo anche per il cessate il fuoco in Medio Oriente. E sostenere Kiev non significa aderire alla retorica dello scontro di civiltà: l’Ue deve lavorare per un negoziato

Vale anche per l’Ucraina?

Da sempre chiediamo all’Ue un maggior sforzo diplomatico e politico per isolare la Russia e far cessare quel conflitto verso una pace giusta negoziata alle condizioni che stabiliranno gli ucraini.

Voi avete sempre votato a favore delle armi a Kiev, alle europee candidate Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, che si è sempre opposto a questa scelta. Una contraddizione?

No, è pluralismo, sensibilità diverse erano presenti nel Pd e tra i nostri elettori anche prima su questo. Il nostro vice capogruppo alla Camera è Paolo Ciani, di Demos, che è sulla stessa linea. Quella del Pd non cambia: sostenere Kiev anche con le armi non significa auspicare che si combatta fino all’ultimo fucile, ma evitare che Putin riscriva i confini con l’esercito. Ringrazio Tarquinio per la sua disponibilità a dare un contributo prezioso di riflessione sulla pace, pur consapevole delle differenze che ci sono tra noi.

Tra domenica e lunedì il Pd ha partorito le liste europee. Scorrendole si nota la presenza di posizioni molto diverse, sia tra gli esponenti del partito che della società civile. Sulla guerra e non solo. È il replay del Pd «ma anche» del 2008?

No, sono liste che hanno un profilo politico molto netto e innovativo: il nostro programma per un’Europa sociale e più coraggiosa nella conversione ecologica è molto chiaro. Un’Europa degli investimenti comuni nei beni pubblici, che non si richiuda nell’austerità e ponga fine ai paradisi fiscali.

È la prima volta che mettiamo in testa alle liste personalità esterne, c’è quella apertura che volevamo e, allo stesso tempo, l’esperienza dei nostri amministratori e dei parlamentari uscenti: una qualità che non si trova in altre liste. E poi conta il metodo: non abbiamo utilizzato il manuale Cencelli tra le correnti e tuttavia abbiano lavorato fianco a fianco con la minoranza interna. Non c’è stata una notte dei lunghi coltelli come era accaduto in passato.

E tuttavia, rispetto al suo racconto di un Pd che guarda all’Italia dei precari, del lavoro sottopagato, di chi resta indietro, non si trovano figure che rappresentino questi mondi.

Il lavoro per noi è tornato essere centrale, c’è stata una ricucitura dopo gli errori del passato. E questa è una delle nostre principali battaglie per l’Europa che condividiamo con il candidato socialista Nicolas Schmit: gli ammortizzatori sociali sul modello Sure, il salario minimo, lo stop agli stage non pagati. Segnalo che nel nordest corre con noi Ivan Pedretti, che ha guidato lo Spi Cgil. Poi va detto che si tratta di elezioni con preferenze, e non è facile trovare la disponibilità di persone che non siano abituate a questo tipo di competizione.

Elly Schlein
Le liste non sono ispirate al “ma anche”, le posizioni di Tarquinio vivono nel Pd. Con 5S e centristi mi ostino a lavorare per l’alternativa

L’idea del suo nome nel simbolo Pd è durata 24 ore e poi da lei stessa bocciata. Non aveva colto il rischio di una eccessiva leaderizzazione?

La proposta è stata avanzata e discussa in direzione, siamo l’unico partito che discute di tutto e lo rivendico, ma ora la decisione è presa: il mio modo di sostenere i candidati non sarà quello, ma correre insieme a loro in lista ed eleggerne il più possibile.

Dopo la vittoria in Sardegna a febbraio, in Abruzzo e in Basilicata il campo di centrosinistra ha perso. E i rapporti tra voi e il M5S si sono molto deteriorati.

Non ho mai usato l’espressione «campo largo», a me interessa costruire una coalizione progressista attorno a un progetto chiaro per battere una destra che ha già mostrato il suo vero volto, e cito da ultimo la proposta di far accedere le associazioni antiabortiste nei consultori. Continuo a pensare che le forze alternative debbano unirsi, anche nelle differenze che ci sono: non si vince sempre, ma divisi si perde sicuramente. Per questo continuo a essere testardamente unitaria, ma pretendo rispetto per la nostra comunità.

Un Pd che ha rialzato la testa, ha recuperato 6 punti rispetto ai sondaggi del febbraio 2023, quando sono stata eletta segretaria. E anche nelle regioni in cui si perde ottiene buoni risultati, come in Abruzzo. Questa tensione unitaria non ce l’ha ordinata il dottore, ce la chiedono gli elettori e ce la riconoscono nelle urne. Purtroppo spesso vediamo veti tra i potenziali alleati, che non arrivano mai da noi.

In Basilicata avete cambiato il vostro candidato un mese prima del voto per accontentare Conte. Ha qualche rimpianto?

Ringrazio il nostro candidato Piero Marrese che si è battuto con generosità in condizioni difficili. Non ho rimpianti, il nostro obiettivo è stato e sarà costruire coalizioni competitive, e continueremo a farlo. Il Pd non è più arrogante, non pensa di essere autosufficiente.

In Basilicata eravamo alleati col M5S senza i centristi: e il risultato dimostra che i numeri dei 5S (7,7%, ndr) non sono influenzati negativamente dall’essere in coalizione con Azione, come si è detto dopo l’Abruzzo dove eravamo tutti uniti.

Calenda e Renzi festeggiano per aver vinto con Fdi e Lega.

So che è difficile costruire un’alternativa alla destra, ma allearsi con Meloni e Salvini non mi pare una grande soluzione. Con un governo come questo non si può stare un po’ di qua e un po’ di là. Io continuo a considerarli potenziali interlocutori, spero che sentano anche loro la responsabilità di non regalare altre città e regioni alle destre.