I rapporti con la Russia continuano a inguaiare Matteo Salvini. Non solo per il patto firmato nel 2017 con Russia Unita, il partito di Putin, che non sarebbe mai stato sciolto. Lo stesso vicepremier ieri ha voluto dare fuoco alle polveri: «Capisco la posizione della moglie di Navalny, bisogna fare chiarezza. Ma la fanno i medici, i giudici, non la facciamo noi. Come posso giudicare cosa è successo dall’altra parte del mondo?».

Parole incredibili per un esponente del governo italiano. E proprio nel giorno in cui Putin, rispondendo a una studentessa italiana a Mosca, ricorda che «l’Italia ci è sempre stata vicina, da voi mi sono sempre sentito a casa». Il primo a replicare al leghista è Calenda: «Salvini hai rotto le balle: il giudizio dei magistrati di una dittatura non conta nulla. Dacci evidenza che l’accordo con Russia Unita è stato disdetto».

A stretto giro anche la replica di un portavoce della commissione Ue, Peter Stano: «La posizione dell’Ue sui dossier di politica estera, incluso quello relativo alla morte o all’assassinio di Navalny, è stata oggetto di una dichiarazione a 27 secondo cui la responsabilità ultima della morte ricade sul presidente Putin e sulle autorità russe. Ed è stata concordata anche dall’Italia». E ancora: «Non servono indagini penali per definire che cosa ha esattamente causato il decesso».

Grande imbarazzo per il ministro degli Esteri Tajani, costretto a ricordare di aver chiamato personalmente la vedova di Navalny e di aver convocato l’ambasciatore russo a Roma: «La Russia non tollera nessun vero elemento di democrazia, Navalny di fatto è stato ucciso dal sistema. E quel sistema è pericoloso per l’Europa. La posizione del governo su questo fatto è quanto mai chiara».

Su Salvini ha aggiunto: «Per quanto mi riguarda i fatti dovranno essere accertati ma il dubbio è che Navalny sia stato fatto morire. Non sappiamo se sia stato ucciso da un killer ma si può provocare la morte di una persona anche con una detenzione incompatibile con la vita e questo è successo. Lui stava in un gulag come quelli che usava l’Unione Sovietica: la sua morte se non è stata provocata direttamente lo è stata in maniera indiretta». Così anche Fabio Rampelli di Fdi: «É urgente attribuire la responsabilità unica, politica e morale, probabilmente anche materiale, all’erede di Stalin e Breznev».

Proteste anche dal Pd: «Salvini non perde occasione di ricordare che la Lega ha un accordo ancora in vigore con il partito di Putin. E quindi non perde occasione di fargli da avvocato. Peccato che prima di tutto sia un ministro della Repubblica italiana», dice Lia Quartapelle. E Laura Boldrini, spesso vittima degli insulti leghisti: «Anche in Polonia gli hanno ricordato i legami con Putin, quando andò al confine con l’Ucraina, appena invasa, sperando di arrivare da eroe e finendo da zimbello».

Calenda va oltre e chiede al leader leghista di «smentire pubblicamente» che l’accordo con Russia unita sia ancora in vigore: «Se lui e la Lega non smentiranno il rinnovo dell’accordo, Azione presenterà una mozione di sfiducia: un ministro non può essere partner politico di un dittatore assassino e imperialista che vuole disgregare l’Ue. Aggiungo che c’è un serio problema di sicurezza nazionale e di accesso ad informazioni sensibili».

Ieri il Foglio ha dato conto degli imbarazzi e dei balbettii della Lega per il patto con i putiniani. Dal partito di via Bellerio spiegano che «è da considerare carta straccia» e che «con Putin non ci sono rapporti da anni». E tuttavia prima di Salvini era stato il suo vice Andrea Crippa, subito dopo la morte del dissidente russo, a usare parole al miele verso Putin: «Non additiamo responsabili finché non ci saranno prove oggettive». Un garantismo che di solito i leghisti usano solo verso se stessi.

Ieri Salvini ha provato a difendersi sul fronte giudiziario: «Tutte le fesserie in questi anni sui legami con la Russia, i finanziamenti, sono state archiviate, i giudici hanno detto che non è successo nulla». «Nel 2017 chiunque avesse un po’ di sale in zucca pensava che sarebbe stato saggio portare la Russia vicino all’Occidente», replica il leghista Claudio Borghi. «Quell’accordo era un semplice gesto di avvicinamento, non ebbe alcun seguito e quindi decadde per inazione». Italia viva lancia una petizione perché Renew Europe (la famiglia europea di Macron che comprende anche Azione e +Europa) candidi Yulia Navalnaya alle europee come capolista a Milano e Roma.