Una sentenza su cui aleggiano sia sconforto che, paradossalmente, qualche anelito di speranza. Il tribunale di Ekaterinburg, in Russia, ha condannato ieri a 16 anni di carcere il giornalista statunitense Evan Gershkovich, corrispondente per il Wall Street Journal con cui aveva iniziato a collaborare poco prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Arrestato a marzo dell’anno scorso, secondo le autorità giudiziarie di Mosca perché stava raccogliendo «informazioni classificate» per conto della Cia su un struttura di produzione e riparazione di attrezzature militari coinvolta nella guerra, Gershkovichh stava in realtà lavorando a un inchiesta sulle attività del gruppo Wagner. Il 32enne giornalista ha passato oltre 400 giorni di detenzione nella prigione di Lefortovo, nella capitale, e il suo caso rappresenta il primo arresto per spionaggio di un cittadino statunitense dai tempi della Guerra fredda.

IL PROCESSO ha avuto un’accelerazione questa settimana: l’udienza, che si sarebbe dovuta tenere ad agosto, è stata anticipata e si è svolta a porte chiuse per poi lasciare subito spazio al verdetto di ieri con cui giudice Andrei M.Mineev ha stabilito la pena a due anni in meno dei 18 chiesti dall’accusa. Sentenza subito criticata da più parti. Il Wall Street Journal invita i propri lettori a mandare un messaggio al detenuto e ai suoi familiari. Il giornale indipendente The Moscow Times, per il quale aveva lavorato in precedenza Gershkovich, chiede pubblicamente la sua scarcerazione – dicendo che in questo momento «non dovrebbe trovarsi in una prigione, ma a fare ciò che ama di più, ovvero raccontare la Russia».
In occasione del primo anniversario del suo arresto, il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria (organismo di esperti incaricato dalle Nazioni unite) aveva condannato la sua reclusione, affermando che questa è «indicativa di una tendenza preoccupante nella Russia di oggi, che ha visto un aumento senza precedenti del numero di giornalisti – sia cittadini russi che stranieri – imprigionati per il loro lavoro».

Ma c’è chi vede nelle evoluzioni di ieri un margine di fiducia affinché Gershkovic possa essere coinvolto in uno scambio di prigionieri e tornare così in libertà. Lo aveva paventato lo stesso Putin durante l’intervista concessa a febbraio a Tucker Carlson, e la dinamica con cui si è arrivati in fretta a una sentenza è in linea con altri casi simili.

BIDEN, che ha sempre denunciato le accuse come «infondate», ha ribadito ieri che Washington sta facendo il possibile per ottenere il suo rilascio.