Curiosamente ieri sull’Autonomia differenziata la maggioranza ha vissuto una fibrillazione che ha messo in secondo piano elementi critici dell’altra riforma istituzionale che il centrodestra sta portando avanti in Senato, il premierato elettivo. Ieri alle 12 in Commissione Affari costituzionali della Camera scadeva il termine per la presentazione degli emendamenti al ddl Calderoli, i partiti d’opposizione avevano già annunciato che ne avrebbero presentati molti. Il tentativo, dichiarato, è quello di far saltare l’approdo del provvedimento in Aula, fissato il 29 aprile e confermato l’altro ieri dalla conferenza dei capigruppo. A Mezzogiorno ecco la prima sorpresa per i deputati leghisti: sul loro telefonino è arrivato un messaggio che li avvisava dello slittamento alle 17 del termine. Un rinvio deciso dal presidente della Commissione, Nazario Pagano di Fi, quello che nei giorni scorso aveva aperto alla possibilità di una dilazione dell’approdo in Aula.

Trascorrono 15 minuti e per i parlamentari di Salvini la sorpresa si trasforma in rabbia: il segretario di Fi Tajani solleva questioni di merito («occorre che l’Autonomia non sia a danno di una parte sull’altra») e chiede «tempi di discussione adeguati», tanto da dirsi convinto che «il voto sarà più in là». Trascorrono poche decine di minuti e le agenzie di stampa «battono» il numero degli emendamenti depositati dalle opposizioni: circa 2mila. Il dubbio della Lega che Fi abbia una «intelligenza col nemico» è diventato una certezza. Il telefono di Salvini ha suonato all’impazzata e alla fine l’ex «capitano» ha preferito far parlare non il suo vice Andrea Crippa, l’uomo delle sparate, una sorta di spezzapollici del Carroccio, bensì il più autorevole capogruppo alla Camera Riccardo Molinari: «C’è un accordo di maggioranza che prevede che l’Autonomia inizi la sua discussione in Aula il 29 aprile. Ci aspettiamo che tutti mantengano l’impegno assunto. Noi abbiamo dato il via libera in Commissione sul premierato al Senato. I patti si rispettano». Della serie il simul stabunt, simul cadent vale per le due riforme. Una chiamata in correo di Fdi in caso di slittamento dell’Autonomia, che avrebbe comportato analogo destino per il premierato.

Dopo due ore di fibrillazioni, ci ha pensato il capogruppo di Fi in Commissione Affari costituzionali, Paolo Emilio Russo, a ridare serenità ai leghisti: «Forza Italia non ha presentato emendamenti al ddl sull’Autonomia. Lo abbiamo fatto non solo per tenere fede a un accordo politico. Dalle audizioni non è emersa la necessità di proporre modifiche» al testo licenziato dal Senato. Ed ecco la sorpresa: nel tardo pomeriggio due deptuati di Fi del Sud, Francesco Cannizzaro e Annamaria Patriarca, dichiarano che c’è sempre l’Aula, oltre alla Commissione per presentare gli emendamenti. Insomma la dialettica è anche interna agli azzurri. Mentre a Montecitorio i nervi erano a fior di pelle, in Commissione Affari costituzionali del Senato si stavano svolgendo le audizioni di sei costituzionalisti sul premierato, in vista delle modifiche che la maggioranza ha già annunciato di voler presentare in Aula.

Al netto delle stroncature fatte dal presidente emerito della Corte costituzionale Ugo De Siervo, dall’ex vicepresidente della Consulta Enzo Cheli e dalla professoressa Roberta Calvano, più interessanti sono risultate le parole dei tre giuristi chiamati dalla maggioranza: Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Meloni, Felice Giuffrè e Michele Belletti. Marini, il padre della riforma, ha ammesso che quella introdotta dal ddl Casellati «è una forma di governo molto diversa da quella prevista nella Costituzione vigente». Frase pronunciata dopo che Cheli aveva osservato che «questa riforma non è né chirurgica né limitata dal momento che investe il cuore della nostra forma di governo e finisce per colpire l’intero nostro impianto, cioè il quadro dei poteri e delle libertà a cui viene impressa una curvatura molto diversa da quella attuale».

La serafica affermazione che cambia l’impianto della Carta del 1948, è stata espressa anche da Giuffrè e Belletti – tra gli sherpa del centrodestra – le cui affermazioni più sorprendenti hanno riguardato una domanda: cosa accede se alle elezioni un candidato premier ottiene il quorum richiesto, che però non viene raggiunto dalle liste collegate? La risposta è stata che non potendosi attribuire un premio di maggioranza in Parlamento, il premier dovrebbe «andare a cercarsi i voti» nelle Camere, facendo entrare nella coalizione di governo un partito che alle elezioni con sistema maggioritario è stato concorrente. Verrebbe istituzionalizzato quel trasformismo che il centrodestra rimprovera al centrosinistra in Puglia.