Retromarcia Schlein: «Il mio nome non sarà nel simbolo del Pd»
Europee La mossa dopo la rivolta dem: «Scelta divisiva, io so ascoltare». La leader corre solo al centro e nelle isole: «Squadra meravigliosa, in passato scelte più traumatiche». Taruffi: liste senza Cencelli. Tra i nomi in lizza ceto politico e borghesia illuminata: non c’è l'Italia «che fa fatica»
Europee La mossa dopo la rivolta dem: «Scelta divisiva, io so ascoltare». La leader corre solo al centro e nelle isole: «Squadra meravigliosa, in passato scelte più traumatiche». Taruffi: liste senza Cencelli. Tra i nomi in lizza ceto politico e borghesia illuminata: non c’è l'Italia «che fa fatica»
Elly Schlein affida a una diretta instagram la clamorosa retromarcia: il suo nome non sarà nel simbolo del Pd alle europee. La proposta era stata presentata domenica in direzione da Stefano Bonaccini, ma era frutto di un’intesa con la segretaria: rinuncia a correre al nord e al sud in cambio di una sottolineatura del suo «valore aggiunto» nel simbolo. Nel Pd sussurrano che il governatore abbia chiesto in cambio anche la conferma di Lello Topo al sud, figura vicina al governatore De Luca. Guarda caso, domenica in direzione Piero De Luca ha tessuto insolitamente le lodi della leader.
MA IN MENO DI 24 ORE la leader ci ha ripensato, dopo la rivolta partita domenica mattina in segreteria da Peppe Provenzano e Marco Sarracino, della sinistra Pd, subito condivisa da Debora Serracchiani e poi deflagrata in direzione con oltre una ventina di no da tutte le anime dem, compreso Dario Franceschini (silente, ma per la sua area il no è arrivato da Marina Sereni). E poi Cuperlo, Boldrini, Delrio, i cattolici Stefano Lepri e Silvia Costa, Valeria Valente.
Il veltroniano Walter Verini ha ricordato come il nome di Veltroni fu inserito nel 2008 in una elezione politica di tipo maggioritario (unico caso). Non alle europee dove si vota col proporzionale. Anche Lucia Annunziata si era detta contraria: «Sarebbe la trasformazione del Pd in un partito personale proprio nel momento in ci la maggioranza ha presentato il premierato che distrugge l’attuale assetto costituzionale». A difendere l’ipotesi solo Francesco Boccia e Pierfrancesco Majorino, fedelissimi di Schlein.
IERI IL CONTRORDINE: «Ringrazio chi ha fatto questa proposta, ma era più divisiva che rafforzativa e non ne abbiamo bisogno», ha detto la segretaria, mentre tra i suoi follower a decine le chiedevano in diretta di evitare il nome del simbolo per non scimmiottare le destre. E lei: «Siamo l’unico partito che discute, la capacità di guida non si misura nella forza del pugno, ma dal polso e dall’orecchio ben teso a terra».Alla fine, Schlein sarà capolista solo al Centro e nelle Isole: nelle altre tre circoscrizioni il suo nome non comparirà. Cosa che ha fatto molto piacere a chi, a nord come a sud, punta alle preferenze, da Bonaccini (capolista nel nordest, sarebbe stata una competition all’ultimo voto tra i due) alle tante donne della sua area, da Pina Picierno (numero 3 al sud) a Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti (nordest), Irene Tinagli (nordovest).
DURANTE LA DIRETTA SCHLEIN si è soffermata su alcune candidature, mostrando di puntaci in modo particolare, a partire dalle due capolista Cecilia Strada (nordovest) e Annunziata (sud), e poi l’uscente Pietro Bartolo nelle isole (che però si è lamentato con il Pd siciliano per essere finto al quarto posto). Ringraziamenti anche a Nicola Zingaretti («Ho molto insistito per convincerlo»), il sindaco di Bari Antonio Decaro, l’ex direttore di Avvenire, il pacifista Marco Tarquinio (quarto nel centro), i due esponenti di Volt candidati a nordest (Silvia Panini e Marcello Santarelli), il presidente di Articolo 21 Piemonte ed ex deputato Davide Mattiello (nordovest). Elogi anche ad Alessandro Zan, schierato a nordest e nordovest come contraltare al leghista Vannacci, e ad Eleonora Verdi, ex portavoce dei Verdi ora approdata ai dem.
Dopo la retromarcia piovono lodi alla leader: «Scelta saggia, ora concentriamoci nella battaglia contro le destre», dice Provenzano, uno dei più duri nel criticare l’ipotesi. Così anche Bersani, Nardella e Sereni. In fondo alle liste spuntano nomi di attivisti provenienti dalla società civile, come l’avvocatessa pugliese Shadi Alizadeh, la presidente degli psicologi sardi Angela Quaquero, l’urbanista napoletano Francesco Forte, la cronista Lidia Tilotta della Rai Sicilia, l’attivista per i diritti dei disabili Umberto Insolera.
NEL COMPLESSO, PERÒ, non si coglie una inversione di tendenza rispetto al Pd del passato, e neppure un cambiamento nell’estrazione asociale dei candidati, quasi tutti provenienti dalla borghesia istruita o dal ceto politico (sindaci e governatori a fine mandato o ex parlamentari) . Se Schlein da oltre un anno parla di giovani, precari e lavoratori sottopagati, in queste liste non c’è traccia né dell’Italia che «non ce la fa» né di chi porta avanti le loro battaglie. Fatta eccezione per l’ex Cgil Ivan Pedretti, che guidava i pensionati di Corso d’Italia. Pensionati al termine di carriere dorate anche i due giornalisti di punta in lista, Annunziata a Tarquinio.
«UNA SQUADRA MERAVIGLIOSA, aperta, plurale, piena di competenze del nostro partito e della società», dice Schlein. «In passato questo lavoro è stato più traumatico, ci siamo tenuti per mano. Se insieme vinciamo l’alternativa c’è già e c’è da domani». Il responsabile organizzazione Igor Taruffi, che ha curato il delicato dossier, non nasconde la soddisfazione: «Mai in passato avevamo chiuso con dieci giorni di anticipo rispetto alla consegna della liste e con un accordo quasi unanime», dice al manifesto. «Non ci sono stai caminetti o manuale Cencelli tra correnti, ma abbiamo dato una rappresentazione plurale del Pd e delle forze che può attrarre con l’obiettivo di riportare al voto chi non ci crede più». «Abbiamo lavorato per una ricucitura con mondi che ci avevano abbandonato, dal volontariato al sindacato». Secondo Taruffi,«non c’è stato alcun caos e alcuna animosità». Sulle scelte di Schlein, che si presenta solo in due circoscrizioni, «abbiamo trovato un punto di equilibrio».
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