Il ciclone Schlein è entrato nel convento del partito democratico. E di convento pagano si tratta, visto che non sono ammesse laggiù eresie se non organizzate in correnti di sua maestà.

Negli ultimi anni, dopo il sogno originario di Romano Prodi e Walter Veltroni, e il tentativo non riuscito di Pier Luigi Bersani di tornare ad un’organizzazione di ispirazione socialdemocratica, la parabola si è curvata verso il basso.

La botta finale fu inferta da Matteo Renzi, esempio preclaro di ciò che i politologi chiamano il partito personale a trazione mediatica. Arrivò Nicola Zingaretti, ma forse era già troppo tardi. Ed Enrico Letta ha persino messo le premesse per uno scioglimento silenzioso di un soggetto mai davvero nato, essendo a suo tempo in crisi proprio le anime (Democratici di sinistra e Margherita) che avrebbero dovuto costruirlo.

Nei giorni costituenti ci furono posizioni diverse, tese a proporre alternative (una federazione o cose simili), che non spegnessero a tavolino storie, memorie, identità.

La storia è andata altrove, accecata dagli abbagli liberisti e dalle compiacenti tattiche moderate filiate dai lati peggiori dei prototipi democristiani e comunisti.

Con brillante definizione, è stato detto che si passò dalla necessaria cultura di governo – volta a rompere con le vecchie routine estremiste- al governo come cultura. Infatti, persino al di là di ogni pur funerea previsione, il partito democratico è riuscito a stare nelle stanze del potere esecutivo comunque: gialli, verdi o tecnici che fossero i partner.

La struttura correntizia non è una patologia dalle parti del Nazareno, bensì la fisiologica modalità di essere e di gestirsi. Scarsi e deboli i programmi, tramontate con esibita ignoranza le ideologie, ecco il quadro della gelatina dentro la quale piomba un’outsider come Elly Schlein.
La giovane deputata ed ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, in cui governa il principale antagonista Stefano Bonaccini, entra in scena con il fioretto ma con disinvolta durezza.

Il punto chiave dell’annunciata candidatura alla segreteria nei luoghi stracolmi del complesso del Monk, locale famoso a Roma per il jazz, è stato il messaggio sotteso alle parole scandite del resto in varie occasioni precedenti.

Oltre ai temi cruciali di una donna (finalmente) capace di suscitare emozioni simili a quelle del primo Ulivo di Romano Prodi, il senso ultimo delle frasi pronunciate con sperimentata oratoria dalla stella nascente è chiaro: quel partito forgiato dai riti correntisti cambierà profondamente. Con una scossa elettrica. E se è vero che il mezzo è il messaggio, il contenitore inedito sarà plasmato dal messaggio di rottura urlato all’ouverture.

I contenuti manifesti sono netti: dalla lotta alle diseguaglianza, al salario minimo, alla tutela dei diritti, alla vicenda dei migranti, al superamento del precariato e all’attenzione speciale per le generazioni giovani. Un’assenza: il capitolo cruciale della guerra, appena lambito, forse per la presenza vigile di non pochi esponenti di un partito schierato con la Nato senza soverchie differenze tra le cosiddette aree.
Comunque, per chi fosse interessato, l’elaborazione della Schlein si ritrova in un interessante libro (La nostra parte, 2022), in cui si sintetizzano le proposte. Certamente, pur con tanta simpatia, è lecito sottolineare che, fuori da ogni sciocco dogmatismo, si sente la mancanza di Marx. Va sottolineato non per spirito settario o retrogado, bensì per una considerazione attualissima.

Proprio la forza d’urto della candidatura, il suo essere possibile riferimento dell’universo digitale inteso come campo conflittuale lontano dalle coordinate del Novecento, ha bisogno di declinare innovazione e modernità con la realtà del capitalismo delle piattaforme e dei modelli aggiornati dell’accumulazione.
Se no, il dramma del precariato, dell’odierno schiavismo e della solitudine individuale rischia di apparire una mera – fredda- diagnosi di una crisi.

Insomma, citiamo Marx come criterio analitico, per evocare l’urgenza di una teoria politica adeguata a cercare di sovvertire l’ordine esistente. Il buon movimentismo non basta.
Comunque, per chi voterà o solo assisterà interessato, tanti sinceri auguri: occupy pd, questa volta sul serio.