Domenica scorsa ci ha lasciati il carissimo Elio Matarazzo, dopo un decorso velocissimo di quello che sappiamo essere il meno curabile dei mali.

Era una persona forte e resistente, tanto che sembra davvero incredibile come si sia consumato così in fretta. Ma l’umana fragilità è nota.

Tuttavia, rimarrà impressa nel ricordo l’immagine di Elio, quando l’amico Giuseppe Vecchio e io siamo andati a portargli quello che sarebbe stato l’ultimo saluto: «un abbraccio da parte di tutte e di tutti». Un sorriso e due pugni alzati verso il cielo sono stati la risposta. Del resto, ci teneva a presentarsi, con simpatica autoironia, «di Roma, romanista e comunista».

Matarazzo, non a caso, era stato assiduo e attivissimo militante del Pdup per il comunismo, organizzazione scelta nell’epoca della contestazione dopo una lunga vicinanza al Pci. Era stato sempre schierato nei pressi della sinistra storica, ma -come molti- pensò che la Nuova Sinistra (come era chiamata) rappresentasse meglio bisogni e interessi del movimento operaio e delle classi sfruttate.

La necessità di difendere i ceti deboli e marginali era sempre il motivo dominante delle riflessioni che conduceva. Sempre disponibile a dare con estrema generosità sé stesso, pur mantenendo un pensiero spesso critico e sempre autonomo.

Nell’ultima fase della sua esistenza aveva curato con orgoglio il volume “Etiopia. Conquista e conoscenza” (2022), raccolta delle fotografie scattate dal padre Roberto, mandato dal Regime a fare la guerra coloniale come radiotelegrafista. Un volume significativo, rappresentativo di una persona coinvolta suo malgrado in una tragedia mai davvero analizzata nei dolorosissimi risvolti dalla vulgata storica compiacente.

Per fortuna, Roberto Matarazzo era adibito a compiti non armati o violenti e la passione per le foto ne fece una sorta di artigianale corrispondente di guerra. Quella passione per la comunicazione fu, probabilmente, una sorta di educazione sentimentale per il figlio.

Elio Matarazzo ha scritto svariati volumi sui mass media, prima e dopo l’insegnamento svolto all’università di Roma Tre sul mezzo radiotelevisivo: La Rai che non vedrai. Idee e progetti sul servizio pubblico radiotelevisivo (2007); Il bello della diretta (2011). Nonché, un testo del 2005 sulla Resistenza in Val d’Orcia, Son la mamma di tre gattini. E, inoltre, numerosi saggi ed articoli.

Aveva lavorato alla Rai per ampia parte della vita, come funzionario e poi dirigente, e pure autore di programmi. Un elenco infinito. Era stato segretario della sezione del Pci (poi Pds) dell’azienda: severo e inflessibile, ma con record di iscrizioni. Da lì passarono volti noti e meno noti, uniti dal cemento del partito, che ancora esisteva.

Il lavoro alla Rai era inteso anche come scelta di vita. Per il bene comune, per un servizio pubblico che voleva riformare. Teorico e pratico. Documentava. Aveva prodotto e girato, ad esempio, nel 2013 con Enzo de Camillis “Un intellettuale in borgata” su Pier Paolo Pasolini e poco dopo un eccellente film sulla partigiana Carla Capponi.

Era generoso, buono, umile: simili non usuali virtù rimarranno nella memoria. È l’eternità concessa ai laici.

L’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, l’Associazione per il rinnovamento della sinistra e Articolo21 perdono una personalità piena di idee e di sentimenti, che aveva scelto di non arrendersi e di attraversare ambiti pur contigui, ma diversi.

Un saluto affettuoso va rivolto alla compagna Aymaliu Pardillo Velis, che gli è stata accanto fino all’ultimo.