Elezioni in Catalogna, la vittoria socialista da sola non basta
Si chiude un’epoca 28% dei voti e 42 seggi conquistati, è il successo della strategia di Sánchez. Ma senza maggioranza assoluta è già rebus governo. Se Salvador Illa sarà President dipenderà dagli accordi, tre le ipotesi
Si chiude un’epoca 28% dei voti e 42 seggi conquistati, è il successo della strategia di Sánchez. Ma senza maggioranza assoluta è già rebus governo. Se Salvador Illa sarà President dipenderà dagli accordi, tre le ipotesi
Catalogna. Per la prima volta da più di dieci anni i partiti che chiedono l’indipendenza catalana non ottengono la maggioranza dei seggi del Parlament di Barcellona. E il presidente catalano ancora in carica, Pere Aragonés, leader di Esquerra republicana, annuncia che lascia la politica e passa all’opposizione.
NON SOLO. Per la prima volta, il partito socialista catalano è arrivato primo sia in percentuale (28% dei voti) che in seggi (42; ne aveva 33). La vittoria di Salvador Illa è incontestabile, e con lui, quella di Pedro Sánchez, che è riuscito a vincere una piazza molto complicata, in attesa di capire se davvero l’ex ministro della sanità riuscirà a diventare President del governo catalano. Ma è anche la vittoria della strategia socialista, che tanta guerra gli è costata a Madrid, a favore dell’indulto e ora dell’amnistia sui fatti del referendum del 2017. In effetti, hanno lasciato senza argomenti l’indipendentismo. Questo, aggiunto alla disfatta colossale del partito socialdemocratico Esquerra Republicana, che governava per la prima volta dalla guerra civile spagnola e il cui presidente aveva deciso di convocare le elezioni anticipate, ha decimato la forza dell’indipendentismo che fino alle ultime elezioni poteva vantare di essere maggioranza sociale.
IL PARTITO EGEMONE di questo blocco ora è Junts, tendenza liberale: Carles Puigdemont arriva secondo, con 22% dei voti e 35 seggi (cresce di 3), mentre Esquerra precipita dai 33 seggi ai 20 ottenuti domenica: l’hanno votata soltanto 14 elettori su 100. Gli anticapitalisti della Cup, terzo partito del blocco indipendentista, dimezzano la rappresentanza, passando da 9 a 4 seggi, con una percentuale in voti di pochissimo superiore (4,1%) a quella ottenuta dall’ultimo partito indipendentista che ottiene rappresentazione parlamentare: Aliança Catalana, un partito di nuovo conio, antimmigrazione, antislamico e con uno spaventoso discorso nazionalista di estrema destra, che ha ottenuto 2 seggi (con il 3,8%).
Per quanto riguarda il blocco antindipendentista, oltre ai socialisti, i Comuns (versione catalana di Sumar) ottengono 6 seggi (ne avevano 8) con il 6% dei voti. E poi c’è la destra, la vera vincitrice di queste elezioni: Vox si mantiene forte, 8% e 11 seggi (come tre anni fa), mentre il Partido popular fa l’exploit: passa da 3 a 15 deputati (ed era da 20 anni che non otteneva tanti seggi). Ora è la quarta forza, con l’11% dei voti. Scompare Ciudadanos, che sette anni fa era il primo partito. Passa da sei a zero rappresentanti.
Ma se lasciamo l’asse pro o contro l’indipendenza e guardiamo il tradizionale asse destra-sinistra, la destra è cresciuta moltissimo: con Pp, Vox e AC formano un blocco di 28 seggi. Bisogna arrivare al 2015 perché la somma della destra (Pp e Ciudadanos in quel momento) fosse più alta. Se a questi si aggiungono quelli di Puigdemont, i seggi di partiti con ideologie conservatrici arrivano a 63.
PER EVITARE IL BLOCCO e di dover tornare a votare dopo l’estate, esistono solo due strade. La prima: quella chiesta dai Comuns, e cioè un tripartito con socialisti, Comuns ed Esquerra. La somma supera di un soffio la maggioranza: 68 su 135 seggi. Sarebbe la più logica, ma considerando che al comune di Barcellona il sindaco socialista governa in minoranza da un anno perché non ne ha voluto sapere di mettere in giunta i Comuns ed Esquerra, potrebbe non essere così semplice.
Oppure, una nuova coalizione indipendentista che vedrebbe Puigdemont tornare a occupare il palazzo della Generalitat, sette anni dopo esserne stato cacciato, con l’appoggio di Esquerra, della Cup (come sette anni fa) ma con l’astensione dei socialisti. In cambio, magari di un patto di legislatura per Pedro Sánchez a Madrid. Fantascienza? Neanche troppo, anche se per ora sembra una soluzione astratta (ma politicamente pragmatica, soprattutto per Sánchez). E poi Esquerra dovrebbe decidere dove vuol far pendere la bilancia.
La terza strada, benché il partito socialista catalano sia spostato sempre più al centro, sembra più difficile: è la cosiddetta sociovergencia, l’accordo fra socialisti e Junts, che darebbe una solida maggioranza a Illa. Puigdemont per ora lo ha escluso. Prepararsi alle curve, ma solo dopo il voto europeo.
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