«I temi dei diritti civili non sono divisivi, semmai possono e dovrebbero unire. E invece nel dibattito politico di questi giorni sono completamente assenti. È molto grave». L’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Coscioni, porterà avanti la nuova battaglia legale intrapresa con l’azione di disobbedienza civile di Marco Cappato che ieri si è autodenunciato ai carabinieri di Milano per aver accompagnato la signora Elena in Svizzera, dove è morta con suicidio medicalmente assistito.

Perché Cappato ha commesso un reato in Italia, se l’aiuto al suicidio è legale in Svizzera?

L’istigazione e l’aiuto al suicidio sono uniti nell’articolo 580 c.p. . L’aiuto non è reato da noi alle condizioni dettate dalla Corte costituzionale, in tutti gli altri casi rimane reato. La signora Elena non è stata nemmeno controllata dal Ssn perché non dipendeva da sostegni vitali. Ora, l’aiuto al suicidio avviene con patti concludenti: c’è l’accompagnamento (e questo rende il reato perseguibile in Italia perché la condotta criminosa è cominciata qui), ma c’è anche la partecipazione a tutte le pratiche di accesso, perché per esempio Cappato ha tradotto i moduli dal tedesco e dal francese, in modo che la signora Elena potesse confermare la volontà di procedere fino alla fine.

Perché avete deciso di fare questa nuova azione di disobbedienza civile?

Perché c’è una categoria di malati, quelli oncologici, che sono discriminati pur avendo patologie irreversibili gravissime. Già lo scorso anno Daniela, una donna pugliese di 37 anni malata di cancro al pancreas che non dipendeva da sostegni vitali, si era vista negare dalla Asl di Roma il diritto alle verifiche del Ssn. Presentammo un ricorso d’urgenza in tribunale ma Daniela è deceduta il 6 giugno, mentre la prima udienza era stata fissata per il 26 giugno. Nell’esercizio delle libertà non devono esserci discriminazioni in base ad una condizione che la Corte costituzionale ha inserito tra i requisiti solo perché trattava il caso di Fabiano Antoniani che viveva attaccato ad una macchina. In nessuna legge dei Paesi dove il suicidio assistito o l’eutanasia sono legali esiste una discriminazione di questo genere.

Quanto costa andare in Svizzera per accedere a questo servizio? Avete aiutato la signora Elena anche economicamente?

No, non l’abbiamo fatto. Il costo dell’operazione è di circa 10 mila euro, e questa è un’altra discriminazione per censo.

Ricevete molte di queste richieste?

Sì, tante ogni giorno, soprattutto richieste di informazioni. E direi che sono aumentate negli ultimi tempi: le persone sentono il bisogno di approfondire l’argomento, soprattutto all’indomani dell’inammissibilità del referendum.

C’è un motivo per il quale avete scelto di farlo adesso?

Finita la legislatura è decaduta sia la legge di iniziativa popolare sull’eutanasia che i lavori sul testo di legge che avrebbe dovuto essere migliorato al Senato: così com’era non avrebbe permesso ad Elena di accedere al suicidio assistito. Allora si è resa necessaria un’azione per rispondere ai cittadini che sono capaci delle loro scelte, scelgono liberamente e vogliono esercitare un loro diritto. Elena, che voleva rimanere lucida fino alla fine e non voleva affidarsi alla cure palliative, non ha potuto morire come ha fatto Federico Carboni il 16 giugno a casa sua, con gli affetti vicino.

Cappato rischia 12 anni di carcere, lei come combatterà questa battaglia in tribunale?

Innanzitutto dobbiamo vedere se la procura aprirà un’inchiesta. Noi abbiamo evidenziato i tanti elementi che sicuramente possono determinare un capo di imputazione.

Perché potrebbe non procedere? Ha il dovere di farlo.

Ha il dovere soprattutto di accertare i fatti: siamo fuori dalla sentenza della Consulta, quindi non c’è nessuna scriminante. La signora Elena è stata aiutata concretamente con atti concludenti. Nel caso, la battaglia legale farà emergere il discrimine tra malati nell’esercizio di una libertà che al contempo vede la limitazione della libertà anche di chi aiuta. Aiutare un malato nelle condizioni della signora Elena è come aiutarne uno nelle condizioni di Federico Carboni. Lo stesso Comitato nazionale di bioetica, nel parere emanato nel 2019, ha evidenziato che questo requisito debba essere eventuale, non necessario. Quindi alla base della difesa c’è il principio di uguaglianza e della libertà di scelta.