L’Argentina ha accettato il piano negoziato col Fondo monetario internazionale per la ristrutturazione del debito da 45 miliardi di dollari contratto dal governo di Mauricio Macri nel 2018. Il progetto presentato dall’esecutivo è stato approvato a larga maggioranza in parlamento, ma il voto ha anche sancito la spaccatura della coalizione di governo. I deputati fedeli al presidente Alberto Fernandez hanno condotto trattative febbricitanti con l’opposizione di destra per approvare il progetto ed evitare l’ennesimo default. L’ala sinistra del governo, legata alla vicepresidente Cristina Kirchner, ha invece boicottato il voto, esponendo una frattura che era nell’aria ormai da tempo.

«Abbiamo voluto esprimere il nostro dissenso intorno a come sono state portate avanti i negoziati», spiega la deputata Natalia Zaracho, dirigente dei cartoneros, i raccoglitori di cartone delle strade di Buenos Aires diventati simbolo dell’emarginazione sociale negli ultimi vent’anni. Al momento del voto si è astenuta, «perché non c’è stata riduzione dell’ammontare del debito né un’indagine intorno alla fuga di capitali. Crediamo che debba essere ben chiaro chi pagherà: dai settori popolari non si possono pretendere più sforzi, e chi si è arricchito grazie ai crediti del Fmi deve assumere l’impegno».

IN ARGENTINA, che si accinge a ricevere il 28mo salvataggio del Fmi dal 1958, el Fondo ormai è il baratro per antonomasia, e la legittimità del debito è molto contestata. La Banca centrale ha confezionato un rapporto in cui accusa i funzionari del governo Macri di aver usato i fondi del prestito per finanziare la fuga di capitali, ma la denuncia non ha seguito il corso giudiziario. Lo stesso Fmi nella sua revisione del programma del 2018 ha ammesso di aver concesso il maggior prestito della storia dell’istituzione a un paese che non era in grado di osservare gli obiettivi pattuiti. L’accordo approvato dal parlamento argentino dovrà essere confermato dal board del Fmi questo venerdì.

«CREDO CHE IL DEBITO vada pagato, il problema è a quale prezzo – chiarisce comunque Zaracho – e il prezzo non può essere la sofferenza del popolo, bisogna pensare alternative che accompagnino i bisogni popolari. Con la stessa rapidità con cui ci siamo seduti a negoziare l’accordo col Fmi, dobbiamo discutere come affrontare il debito sociale che abbiamo».

La ristrutturazione prevede una nuova erogazione da parte del Fmi per coprire le scadenze del prestito concesso nel 2018, condizionata però alle revisioni trimestrali che il Fondo realizzerà per garantire la capacità di rimborso del paese tra il 2026 e il 2034. Il governo si compromette a ridurre il deficit, eliminare gradualmente le sovvenzioni al consumo di energia elettrica e gas, azzerare l’emissione monetaria. Un piano che include misure di austerity, dunque, inaccettabili per la corrente che risponde alla vicepresidenza.

«Oltre il 40% di poveri nel paese per noi non sono un numero, sono i nostri vicini, è la nostra realtà di tutti i giorni – sottolinea Zaracho -. Non vogliamo un default, ma crediamo sia necessario opporsi all’estorsione del Fondo con politiche inclusive, che permettano ai 5 milioni di argentini in povertà estrema di poter almeno mangiare due volte al giorno».

LA DIVISIONE della maggioranza sul voto si è ripetuta al senato, e l’attività legislativa è paralizzata: non c’è accordo nemmeno per la conformazione delle commissioni parlamentari. Da giorni diversi dirigenti del Frente de Todos, nato su iniziativa di Kirchner nel 2019 per spodestare la destra di Macri, lanciano appelli disperati per la ricomposizione delle relazioni. Nonostante lo strappo, Zaracho auspica che il fronte peronista oggi al governo regga, soprattutto in vista delle elezioni del 2023. «Il paese – dice – non può permettersi un altro governo neoliberista» conclude.