Internazionale

Egitto, gli scrittori raccontano la rivoluzione del 2011. Seconda Parte

Egitto, gli scrittori raccontano la rivoluzione del 2011. Seconda PartePiazza Tahrir durante la rivoluzione di gennaio 2011 – Ap

Tahrir Il giornalista e critico egiziano Muhammad Omar Janadi si interroga sull’influenza che il fenomeno ha avuto sulla letteratura egiziana contemporanea. Oggi vi proponiamo la riflessione della scrittrice Nora Naji e del romanziere Ahemd Zaghloul as-Shaiti

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 15 febbraio 2022

(qui la prima parte)

Per l’undicesimo anniversario della rivolta che il 25 gennaio 2011 ha rovesciato il regime di Mubarak, il giornalista e critico egiziano Muhammad Omar Janadi si interroga sull’influenza che il fenomeno ha avuto sulla letteratura egiziana contemporanea. Attraverso la piattaforma online indipendente Mada Masr, ha invitato alla riflessione una serie di scrittori, chiedendo loro di raccontare, dal proprio punto di vista, quello che ha significato per l’ambiente culturale egiziano una delle rivolte più importanti della cosiddetta “primavera araba”.

Quali nuovi spazi vorrebbero esplorare e quali di temi vorrebbero discutere? Come guardano alla situazione attuale della società egiziana? Come si articola il rapporto tra il “centro” e la “periferia” nella vita culturale del paese? La rivoluzione ha minato l’autorità del “centro” e con essa quella dello standard letterario?

Le risposte sono state diverse.

Nora Naji: una letteratura più umana

Nora Naji ha trentacinque anni, è autrice di quattro romanzi e di un saggio Le scrittrici e l’unità, una delle opere più ricercate in Egitto nell’ultimo periodo. Si è classificata seconda alla prima edizione del premio letterario egiziano Yahya Haqqi, istituito nel 2021. Vive a Tanta, sua città natale, nel governatorato di Gharbia, a circa cento chilometri a nord del Cairo.

Prima dell’avvento di internet, riflette Janadi, vivere fuori dalla capitale poteva condizionare la carriera di uno scrittore, compromettendone il rapporto con la comunità letteraria e con le case editrici. Anche in seguito, la censura imposta sulla rete dal regime di Mubarak non ha fatto che complicare le cose, anche da questo punto di vista. Ora invece “è tutto finito”, conferma la scrittrice al giornalista. La rete le permette di mantenere un dialogo costante, sia con i lettori che con gli altri scrittori.

Riguardo a questo e agli altri cambiamenti subentrati con la rivolta, Naji sostiene: “Ogni movimento porta necessariamente a un arricchimento della cultura. Molti potrebbero non essere d’accordo, ma la verità è che anche la letteratura di consumo, o quella diretta a una particolare categoria o fascia d’età rappresentano una ricchezza. Credo che l’uomo si evolva, e che il fatto di leggere in giovane età – anche se per puro intrattenimento – porterà inevitabilmente a dei progressi, ad ampliare i propri orizzonti e, in seguito, alla ricerca di cose più grandi. Non intendo progressi nella scelta delle letture o nella scrittura, parlo di progressi nella visione della vita in generale, che sono necessariamente seguiti da cambiamenti più grandi”.

E continua: “Sono felice di vedere le mie bambine sedute sul marciapiede della fiera del libro mentre sfogliano un libro che abbiamo comprato”, dice. Può essere un racconto dell’orrore o una storia d’amore, ma questa passione che vedo mi rende felice, e ritengo che questo sia un movimento culturale, anche se gli esperti non lo classificano come tale. Lo stesso vale per l’idea di un’editoria aperta a tutti, ad esempio. Credo che il tempo alla fine separi ciò che è buono da ciò che non lo è. La letteratura ha una sua selezione naturale”.

Secondo la scrittrice, dopo la rivoluzione il panorama culturale egiziano è diventato più variegato e movimentato. Prima, afferma, il mercato era dominato dalle grandi case editrici – ne nomina due: Dar Merit e Dar Sharqiyat – con le quali pubblicavano gli scrittori più noti degli anni Novanta. Ma in seguito alla rivoluzione Naji nota che il numero delle case editrici è aumentato. E nonostante questo fenomeno abbia provocato – sostiene – un abbassamento della qualità letteraria, è stato comunque positivo, poiché ha “creato lavoro” nel settore.

Cosa ancora più rilevante, è avvenuto un cambiamento anche nel modo in cui gli scrittori si rapportano con i lettori: si è instaurata una comunicazione diretta, tramite i social network o i gruppi di lettura online. Una comunicazione che coinvolge non solo gli scrittori più giovani, ma anche quelli più anziani che inizialmente guardavano alla rete con sospetto.

“Questa è una delle caratteristiche principali della nostra epoca – sostiene la scrittrice – negare l’importanza della comunicazione nel 2022 significa comportarsi come il protagonista di The Artist: un attore che rifiuta l’introduzione del sonoro nel cinema. Dobbiamo adeguarci alle regole del nostro tempo, ma a condizione che questo non comprometta la visione originale dello scrittore, che non può fare solo ciò che i lettori si aspettano da lui”.

Sottolinea l’idea della rivoluzione abbia definitivamente compromessi l’autorità del “Centro”. “Senza dubbio l’ha fatto, anche se questo è avvenuto in concomitanza con il movimento culturale globale contemporaneo. Il mondo intero stava cambiando, e nel flusso di questo cambiamento si collocano anche le rivolte nel mondo arabo”.

“I cambiamenti non si fermano. Come ho accennato, ci sono alcuni avvenimenti molto semplici che passano inosservati, ma fanno una grande differenza anche dopo anni. La rivoluzione in Egitto non ha coinvolto solo il centro, non era solo al Cairo, era ovunque. A ciò seguì la consapevolezza che il potere del Centro era finito. Prima della rivoluzione, l’ambiente culturale era circoscritto a un gruppo specifico di personaggi che vivevano nella capitale, come un circolo ermetico che non permetteva l’ingresso ad altri se non a determinate condizioni. È tutto finito, non serve più il permesso per entrare nel centro, non esiste proprio più il centro. Anche se la rivoluzione non ha soddisfatto tutte le richieste, tanto che alcuni l’hanno considerata ‘una mezza rivoluzione’, ha almeno rivelato molte contraddizioni. Prima era come camminare di notte in una fitta nebbia, ora la nebbia si è schiarita. Il mondo è ancora buio, ma siamo in grado di vedere anche sotto i nostri piedi, di vedere il prossimo passo che porta al successivo, e per il momento questo ci basta”.

Parla delle conseguenze della rivoluzione come un effetto farfalla, che all’inizio passa inosservato ma dopo qualche tempo il suo impatto si rivela molto più esteso di quanto si possa immaginare. Per la scrittrice, questo evento ha suscitato un vero e proprio terremoto nelle anime degli egiziani, che vi abbiano preso parte direttamente o no.

Anche dal punto di vista prettamente letterario ci sono stati dei cambiamenti: “La letteratura dopo la rivoluzione è diventata più umana, più riflessiva. Penso che scrittori e intellettuali, cercando di capire cosa sia successo tornino di più al passato, guardino di più dentro di sé. Forse vanno oltre il periodo stesso della rivoluzione, riflettendo su ciò che c’è stato prima o dopo di essa, perché qui sta il segreto. […]Per questo noto anche un aumento della presenza di biografie e autobiografie, che non sono più appannaggio di grandi personaggi. Ogni persona ha la sua storia che merita di essere raccontata, cosa che prima non avveniva”.

Ma un genere letterario in particolare si è diffuso in Egitto dopo la rivoluzione: la letteratura distopica: “Penso che questo nasca dall’idea che abbiamo visto il male, ma abbiamo bisogno di pensare che può esserci di peggio”, quasi per mitigare il proprio vissuto. Il popolo egiziano è rimasto ferito: dal regime, dagli eventi del 2011 e da ciò che è successo dopo, e la scrittrice interpreta il proliferare di letteratura distopica come un tentativo di esorcizzare la paura, una sorta di fuga dalla realtà di un’intera generazione, che si riflette nella scrittura.

Oggi, come scriverebbe Nora Naji della rivoluzione? “Scrivere di un grande evento è molto complicato […] Ho letto molto sulla rivoluzione del 25 gennaio, è da dieci anni che voglio scriverne in modo diverso. Tutto ciò che leggevo, sebbene importante, mi sembrava piatto, fuori centro. Nel senso che si trattava di cronache accurate ma fatte in modo distaccato, ad eccezione di alcuni lavori creativi che sono sfuggiti a questa trappola perché hanno adottato un modo diverso e unico di parlare dell’evento, attraverso per esempio la satira o il simbolismo. Il resto delle opere sembrava più una registrazione storica, visiva e talvolta anche audio di ciò che è accaduto”.

Naji vorrebbe invece dare spazio ad altro, le piacerebbe raccontare i cambiamenti avvenuti all’interno della sua generazione, soprattutto sul piano psicologico ed emotivo: “La rivoluzione è stata uno di quegli eventi che mostrano i loro effetti nel lungo termine, porta dei cambiamenti che avvengono in modo lento ma profondo. Ho notato, ad esempio, che coloro che erano più coinvolti durante quel periodo tendono oggi a essere isolati e depressi. Alcuni hanno tentato il suicidio, altri sono morti prematuramente. Quelli che sono sopravvissuti, tendono ad attaccarsi disperatamente a qualcosa: tra questi c’è chi si è dedicato agli sport violenti, e chi addirittura si è dato alla droga”.

“Qualsiasi evento importante nella storia del mondo, dopo un certo periodo si riduce a qualche pagina su un libro di storia. In futuro potremo vedere come gli studenti percepiranno gli eventi della rivoluzione ma anche la pandemia. Perciò è dovere dell’arte tramandare la verità su ciò che è accaduto, mettendo al centro la persona che ha vissuto e vive queste situazioni, ed è questo che voglio esprimere e su cui sto lavorando”.

Ahmed Zaghloul As-Shaiti: una rivoluzione corale

Lo scrittore e romanziere Ahmed Zaghloul Al-Shaiti è autore di un libro intitolato Cento passi verso la rivoluzione – Diari da piazza Tahrir (Dar al-adab, 2011), in cui ha registrato – descrive Janadi – gli eventi della rivoluzione nelle sue fasi iniziali, come una sorta di diario che fornisce in maniera espressiva un quadro dell’esperienza della rivoluzione egiziana e documenta alcune posizioni politiche all’interno di piazza Tahrir come nel resto dell’Egitto.

Il giornalista gli chiede di cominciare la sua riflessione partendo proprio da questo suo volume. Rispetto ad esso, come sarebbero cambiati, oggi, i suoi scritti? “A qualche anno da questo evento – risponde – mi rendo conto che la rivoluzione può appartenere a tutti, ma il potere no. L’immagine iconica della piazza, quindi, va in frantumi di fronte a una domanda: cosa abbiamo fatto dopo che Mubarak è stato deposto? Ma a questo punto mi chiedo anche se Mubarak sia stato davvero deposto. Gli hanno fatto una tomba sontuosa, riccamente decorata, con una bella foto autoritaria e un comodo spazio per accogliere i visitatori. Anche i governanti di Luglio – i fautori del colpo di stato del 2013, ndt – si preoccupano delle loro sepolture, ma nessuno di essi vuole tornare a farsi seppellire nella sua città d’origine. In quanto suoi colleghi, forse si aspettano di ricevere un trattamento simile”.

Lo scrittore si sofferma sugli eventi che si sono susseguiti dopo la caduta di Mubarak: “Le forze sulla scena erano tante: il Consiglio militare, i Fratelli musulmani, i salafiti, i movimenti rivoluzionari, la gente comune. Lo ricordo bene, la situazione ha cominciato a dividersi tra due focolai, che sono stati i due attori principali: il movimento di Luglio oggi al potere, che ha fatto affidamento su un regime poliziesco repressivo e ha fondato il Corpo Centrale di Sicurezza per garantire il silenzio, e i Fratelli musulmani, che fondano il loro movimento sull’ideologia religiosa, ma hanno presentato alternative economiche per ampi settori nelle città e nelle campagne. Quelli che sognavano uno stato civile moderno e democratico si sono ritrovati in balia di queste due correnti|.

Per quanto riguarda il periodo della rivoluzione, As-shaiti afferma che, nel suo libro del 2011, si era soffermato sul concetto di “rivoluzione come condizione collettiva|”, ovvero una situazione in cui le persone occupano lo spazio pubblico e vi creano un nuovo spazio, ritagliato nel contesto della vita quotidiana, in cui trovare insieme delle soluzioni.

Il modello ideale di questa condizione, sostiene, era proprio piazza Tahrir: “Gli occupanti hanno messo in crisi il sistema degli spostamenti all’interno del Cairo, creando le condizioni perché si potesse fare lo stesso in altri punti della città e del paese. Non hanno messo alla prova solo se stessi, ma anche il potere, e la sua caratteristica di non essere né fragile né forte. Era una situazione che suscitava allo stesso tempo attrazione e repulsione, un colpo di stato ma anche un tradimento nei confronti degli interessi di alcune delle forze coinvolte, è ancora: una condizione di pressione psicologica terrificante. Dieci anni dopo, sento che la mia decisione di scrivere durante quei diciotto giorni è stata tutto sommato quella giusta, nonostante le imperfezioni che possono derivare dalla scrittura in tempo reale. Non ho fatto la cronaca della rivoluzione e non ho nemmeno provato a scrivere un testo letterario, ero solo affascinato da ciò che stava accadendo, temevo di dimenticarlo e, allo stesso tempo, ero eccitato nello scoprire che la rivolta stava scoppiando vicino a me. Sono un uomo di periferia, e la rivoluzione ha scelto di scoppiare proprio sotto il mio balcone”.

Lo scrittore cerca di ricordare la sua preoccupazione di quei giorni, ma anche come scriveva di quegli eventi mentre correva per le strade del Cairo, a partire dalla sera in cui sono cominciate le proteste e si è trovato,
involontariamente, a osservarle in prima fila: “La sera di martedì 25 gennaio 2011 mi stavo preparando per andare a dormire, nella mia casa in via Qasr Al-Nil, quando ho sentito per la prima volta l’esplosione delle bombe. Sono corso ad aprire la finestra, e ho sentito odore di sostanze chimiche. Le bombe a gas mi hanno fatto lacrimare gli occhi e mi sentivo soffocare. La rivoluzione mi era entrata in casa […] non potevo chiudere la finestra e andare a dormire. L’appartamento era pieno di gas lacrimogeno […] ma l’atmosfera era esaltante, dopo tanti anni di corruzione e oppressione. Non sono più riuscito a dormire”.

Quel giorno, nel pomeriggio, i giovani avevano occupato piazza Tahrir. As-Shaiti la definisce una lotta adolescenziale che, non appena iniziata, ha puntato dritto alla luna, saltando tutte le fasi intermedie: “Ricordo che i primi giorni scrivevo che si trattava di una rivoluzione senza base, perché non si appoggiava a un partito e non aveva un programma definito, ma si rivelò come la nemesi di un governo oppressivo e corrotto. Le vecchie organizzazioni, le vecchie modalità di lotta erano del tutto sbagliate. Questa rivoluzione è stata la prima a rompere con i metodi tradizionali di lotta, inclusa la lotta sindacale e l’eredità delle organizzazioni comuniste. È stata una nuova voce, che sembrava essere espressione della classe media: colta, connessa a Internet e fluente in diverse lingue”.

Subito dopo lo scoppio della rivolta, racconta di aver scritto un articolo in cui sosteneva che quella della rivoluzione fosse una narrazione a più voci. “Forse questo ci riporta alla mappa di Borges: una mappa del mondo così accurata da avere le dimensioni del mondo stesso. Nel nostro caso, ci sono le voci di tutti quelli che hanno partecipato alla rivoluzione, che sono andati a manifestare o che hanno picchiato e ucciso i manifestanti, […] ma anche gli ufficiali che si sono uniti ai sit-in. Ma immagino che l’Organizzazione Segreta della terza parte – si riferisce al governo del colpo di Stato del 2013 – non farà sentire mai la sua voce: la sua funzione più importante è invece quella di fare da silenziatore”.

Questa narrazione polifonica richiede per lo scrittore un certo grado di tolleranza e l’accettazione che il linguaggio è un mezzo che può essere utilizzato per esprimere un’ampia gamma di posizioni. Sostiene che, dopo un decennio ci sia la necessità di costruire una narrazione della rivoluzione dettagliata e di dare voce a tutti quelli che non hanno potuto esprimersi. E per fare ciò ritiene che non bisogni limitarsi al romanzo, ma è necessario elaborare testi narrativi che includano documentazione e testimonianze:

“Un testo che unisca ricerca e immaginazione e sia in grado di fondere al suo interno più testi. La rivoluzione è stata in grado di ispirare le persone in un numero enorme di città del mondo, si pensi al movimento Occupy Wall Street per esempio, e penso che scrivere di ciò che è accaduto a piazza Tahrir sia una necessità e una sfida enorme”.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento