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Ecco gli smemorati della par condicio

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Ri-mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 8 settembre 2021

Dallo scorso 4 di settembre (entro le ore 12 dovevano essere depositate liste e candidature per le consultazioni amministrative dei giorni 3 e 4 di ottobre) è scattata la fase di applicazione rigida della legge n.28 del febbraio 2000. Quest’ultima, infatti, evoca chiaramente all’articolo 4 il principio della pari opportunità tra i soggetti. Con una differenza: dalla cosiddetta convocazione dei comizi al deposito delle sigle e dei nomi si fa riferimento alla presenza nelle assemblee uscenti, in una delle due Camere o nel Parlamento europeo. Nell’ultimo mese, si prescrive una eguaglianza assoluta, che riguarda anche chi non eredita alcuna rappresentanza.

Se si maneggia il telecomando, le infrazioni già si notano, però. Si è accorto, ad esempio, che è scattata l’ora X il direttore del Tg2 della Rai, che ha ospitato Matteo Salvini senza contraddittorio nel Post?

Ci sarà un riequilibrio, come previsto dalle norme? Qualche precedente, proprio in quella testata, non induce a ben sperare. Poco prima del voto per la Regione sarda nel febbraio del 2019 avvenne qualcosa di omologo e non ci fu alcun recupero.

La citazione riguarda un caso persino clamoroso, ma la fila si allunga, se si ritiene che siamo in uno Stato di diritto, dove le regole vanno rispettate. E la legge in questione non è mai stata abrogata, al più in qualche punto – non quelli in causa- novellata. Anzi. Una riforma, che non ne stravolga i principi e tuttavia ne estenda l’applicazione ai media post-generalisti: i social, innanzitutto, è matura.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha varato più o meno contestualmente alla commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico il dovuto atto di indirizzo, dovrebbe ora occuparsi dell’ambiente digitale. Oltre ad esigere il rispetto rigoroso della par condicio da parte dei mezzi classici, alquanto smemorati.

Non parte da zero l’Agcom, del resto. Sarebbe sufficiente riprendere il testo emanato al riguardo dall’Autorità nella precedente consiliatura in relazione al referendum popolare sulla riduzione del numero di deputati e senatori.

In quell’articolato si indicano alcune urgenze, attualissime:

  • trasparenza dei messaggi pubblicitari elettorali
  • segnalazione e rimozione dei contenuti impropri
  • tutela rispetto alle strategie di disinformazione (fact-checking)
  • integrità degli account
  • divieto della comunicazione istituzionale nonché della diffusione dei sondaggi nei 15 giorni prima del voto
  • silenzio elettorale.

Come è stato ampiamente sottolineato da una vasta letteratura, ormai le campagne si svolgono attraverso un articolato sistema multiforme, dentro il quale l’utilizzo dei social ha assunto un indubbio primato.

Vi è una chiara divisione dei compiti: gli strumenti di diffusione generalisti contribuiscono a determinare il clima di opinione, mentre l’utilizzo mirato delle parole adatte alle varie categorie di profili è decisivo per raccogliere preferenze e per costruire eventi o personaggi.

La triste vicenda della società Cambridge Analytica, che acquisiva e rivendeva migliaia di dati delle persone, ci richiama ad un impegno etico, oltre che politico. La correttezza del voto è un bene primario e indisponibile.

Non c’è tecnologia che tenga e niente è democratico e partecipativo come l’urna in cui tutte e tutti hanno pari diritti. Pur con i limiti del caso.

Vi è, poi, il tema della responsabilità di coloro che costruiscono l’informazione. Osservare le pari opportunità è fondamentale proprio per garantire l’uguaglianza dei punti di partenza. E, a maggior ragione nel pieno di una crisi della rappresentanza, la correttezza della rappresentazione è il minimo.

Agcom e commissione parlamentare non si guardino dall’altra parte. Il periodo elettorale è una verifica per le stesse istituzioni preposte.

PS. Complimenti alla lista Marco Pannella e a Marco Beltrandi, che si occupa con grande tenacia di tali temi. Undici anni dopo i fatti, la Corte europea dei diritti umani ha dato ragione alla lista radicale per la marginalizzazione subita nei programmi politici. Finalmente, benché la tempistica non sia stata proprio olimpionica.

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