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«È un ricatto all’Italia: deve tacere su Regeni»

«È un ricatto all’Italia: deve tacere su Regeni»Bologna, attivisti alla discussione di laurea di Patrick Zaki – Ansa

Egitto Parla l'ex prigioniero politico Rami Shaath. Vicenda su cui la Francia è riuscita a spuntarla, un Paese che però di contro ha mantenuto un fitto silenzio sulla morte del connazionale Eric Lang, avvenuta in una centrale di polizia egiziana nel 2013

Pubblicato circa un anno faEdizione del 19 luglio 2023

«Ho sentito spesso Patrick: stava organizzando il matrimonio, era concentrato sul suo futuro, ma era anche molto angosciato per l’udienza e l’ho rassicurato, ripetendogli che non sarebbero arrivati alla condanna. Ho sbagliato, ma ammetto che la sentenza – senza un reale capo d’accusa – mi ha lasciato senza parole: temo che la discussione pubblica della tesi di laurea dei giorni scorsi, e gli onori, ricevuti, abbiano spinto il regime a punirlo».

NON HA DUBBI Ramy Shaath, prominente attivista egiziano-palestinese, intervistato all’indomani della condanna a tre anni per il ricercatore Patrick George Zaki. Rilasciato nel gennaio del 2022 dopo 900 giorni di carcere, Shaath ha una vicenda analoga a quella del ricercatore di Bologna: il carcere per attivismo politico e poi i legami con un paese europeo poiché sposato con una cittadina francese, che hanno permesso alla vicenda di ricevere forte eco.

Una questione su cui la Francia è riuscita a spuntarla, un Paese che però di contro ha mantenuto un fitto silenzio sulla morte del connazionale Eric Lang, avvenuta in una centrale di polizia egiziana nel 2013. Un’equazione che rafforzerebbe la tesi di alcuni analisti secondo cui Zaki verrebbe usato come «strumento di ricatto» dal Cairo per spingere l’Italia a rinunciare a «verità e giustizia» per Giulio Regeni, anche lui ritrovato morto in circostanze che hanno portato gli inquirenti a puntare il dito contro le forze di intelligence egiziane. Sul fallimento dell’Italia, Shaath dichiara: «Bisogna chiedere conto al governo». A quello attuale a guida Meloni, che dopo la sentenza ha ribadito che «l’impegno per Zaki continua», ma anche a quelli precedenti, che come ricorda Shaath «dal 2016 non hanno posto fine né agli accordi miliardari per la vendita di armamenti né ai programmi di formazione ed esercitazione delle forze di polizia» accusate di violenze contro i civili. Con lo scoppio della guerra in Ucraina e la crisi energetica che ne è derivata le relazioni col Cairo «sono diventate ancora più strette».

Ho sentito spesso Patrick: stava organizzando il matrimonio ma era anche molto angosciato per l’udienza e l’ho rassicurato. Ho sbagliato. Rami Shaath

NON DI RADO i colloqui tra i vertici di Roma e il Cairo sono stati preceduti da viaggi in Egitto dell’ad di Eni, Claudio Descalzi, contestato a maggio per aver plaudito alla condotta egiziana per l’impegno profuso nel garantire gli stock al nostro Paese: «Se dai, ricevi», ha detto.
Proprio la guerra nel cuore dell’Europa, continua Shaath, «ha finito per distogliere del tutto l’attenzione dell’Occidente sui diritti di popolazioni come gli egiziani o i palestinesi». Secondo l’attivista, che oggi vive in Francia, «si condannano giustamente le atrocità subite dagli ucraini ma, pur di proseguire una certa strategia politica contro la Russia e la Cina, si sacrificano altri paesi che soffrono un aumento insostenibile dei prezzi e vivono sotto dittature». Come l’Egitto, continua, «uno stato del terrore ma nessun Paese lo condanna». Al testimone diretto delle carceri egiziane chiediamo: cosa attende ora Patrick?

«Non credo verrà torturato- afferma Shaath – ma la detenzione stessa – che consiste in celle sovraffollate, poco e scadente cibo, nessuna attenzione medico-sanitaria e spesso assenza di brandine e materassi – è una forma di tortura». Quanto alla grazia, riferisce Shaath, «voci non confermate sostengono che Al-Sisi gliela concederà». Ma «poco cambierà per i 70mila detenuti politici e di coscienza stimati dalle ong, su cui non abbiamo stime ufficiali, ma che non smettono di aumentare, e talvolta morire».

* Agenzia Dire

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