Non ha avuto nulla di spettacolare il ritorno di Bolsonaro in Brasile dopo 89 giorni di un auto-esilio – a Orlando, in Florida – costato assai caro alle casse dello stato: 632mila reais, pari a oltre 113mila euro. Se l’ex presidente sperava di trasformare il suo arrivo in aeroporto in una passerella politica, gli è andata male: l’imponente sistema di sicurezza predisposto per evitare disordini gli ha impedito di incontrare il centinaio di simpatizzanti – non di più – venuto ad omaggiarlo.

Quanto al giorno scelto per il rientro nel paese, se lo scopo era quello di rubare la scena a Lula durante il suo attesissimo viaggio in Cina, la polmonite del presidente ha mandato all’aria i suoi piani.

DALL’AEROPORTO di Brasilia, Bolsonaro si è diretto alla sede del suo partito, il Partido liberal, a meno di cinque chilometri dal Palazzo del Planalto, dove ad attenderlo c’era un gruppo – anche in questo caso alquanto ridotto – di sostenitori. E lì si è riunito con i suoi alleati politici, di fronte ai quali ha dipinto gli Stati uniti come la patria delle libertà, dove c’è tutto quello che egli vorrebbe per il Brasile, dalla libertà di espressione al «legittimo diritto alla difesa».

Ma, in attesa di realizzare il suo sogno, c’è una missione pronta per lui (come presidente onorario del Pl) e per sua moglie Michelle (come presidente del Pl Donne): rafforzare il partito, che già vanta il maggiore gruppo parlamentare alla Camera (99 deputati) e il secondo più grande al Senato (12 senatori), in vista delle elezioni municipali del 2024.

Un obiettivo a cui Bolsonaro, il quale ha detto comunque di non essere tornato per «guidare l’opposizione», si dedicherà viaggiando per il Brasile almeno due volte al mese. «Uno degli obiettivi principali – ha dichiarato il presidente del Pl, Valdemar Costa Neto – è aiutare il Partido liberal a passare da poco più di 300 sindaci a mille. Crediamo che Bolsonaro sia fortemente motivato per questa sfida».

MA INTANTO l’agenda dell’ex presidente prevede nell’immediato un poco gradevole appuntamento con la giustizia. La polizia federale lo ha chiamato infatti a deporre il 5 aprile sul caso dei lussuosi regali ricevuti nel 2021 dalla monarchia saudita – per un valore di 16,5 milioni di reais – e introdotti irregolarmente nel paese.

Se un primo pacchetto di gioielli era stato sequestrato all’aeroporto di Guarulhos a un dipendente dell’allora ministro delle miniere e dell’energia Bento Alburquerque, il secondo, già nelle mani di Bolsonaro, è stato consegnato la scorsa settimana alle autorità dai suoi avvocati per ordine della Corte dei conti brasiliana. Ma, secondo la rivelazione dell’Estado de Sao Paulo, esisterebbe anche un terzo pacchetto affidato alla comitiva presidenziale durante il viaggio di Bolsonaro in Qatar e in Arabia Saudita nell’ottobre del 2019 e nascosto in una tenuta dell’ex pilota (di estrema destra) Nelson Piquet a Brasilia.

MA NON È QUESTO l’unico guaio che Bolsonaro è chiamato ad affrontare. L’ex presidente è anche implicato nelle indagini sugli atti golpisti dell’8 gennaio scorso, mentre sono in corso presso il Tribunale superiore elettorale ben 16 azioni giudiziarie dirette ad appurare eventuali illeciti che potrebbero renderlo ineleggibile per le presidenziali del 2026.

Dall’altro lato della barricata, anche Lula si dibatte tra non poche difficoltà. Mentre il ministero degli esteri è al lavoro per fissare al più presto una nuova data per il fondamentale viaggio in Cina (il periodo più probabile è dall’11 al 14 aprile), l’agenda di governo ha registrato un pericoloso rallentamento.

Le divergenze esistenti tra i presidenti di Camera e Senato – il sempre più potente (e bolsonarista) Arthur Lira e il maggiormente filo-governativo Rodrigo Pacheco – riguardo all’iter di approvazione delle misure provvisorie emesse da Lula (provvedimenti con carattere di urgenza che devono ottenere il via libera del congresso entro 120 giorni) stanno infatti bloccando programmi essenziali come Bolsa Familia, Mais Médicos e il progetto di case popolari Minha Casa, Minha Vida.

PIÙ GRAVE ANCORA è lo scoglio rappresentato dal presidente ultra liberista della Banca centrale Roberto Campos Neto, anche lui fedelissimo di Bolsonaro, accusato di voler sabotare l’azione del governo: il suo rifiuto di abbassare gli altissimi tassi di interesse attualmente in vigore – una «bomba atomica sull’economia brasiliana», secondo le parole dell’ex ministro delle finanze di Lula Guido Mantega – sembra mirato proprio a scoraggiare gli investimenti, vanificando ogni sforzo di far ripartire l’economia.