Il 24 giugno la Corte suprema degli Stati Uniti ha deciso di porre fine alla tutela del diritto all’aborto.
Ciò significa che ora i singoli stati degli Stati Uniti regolano autonomamente il diritto all’aborto: solo 14 stati e il Distretto della Columbia (su 50 stati) hanno leggi che proteggono il diritto all’aborto; gli altri potranno decidere di vietarlo, totalmente o parzialmente, o di introdurre restrizioni e divieti.

Questo significa che un numero drammaticamente inferiore di persone avrà accesso all’aborto sicuro, mentre probabilmente aumenteranno i tassi di aborto «non sicuro», così come quelli di mortalità materna.
Sempre più persone saranno costrette a portare a termine gravidanze e ad avere figli contro la loro volontà, con un impatto sproporzionato su donne e ragazze non bianche, native e appartenenti a minoranze, persone Lgbtqia+ e persone a basso reddito.

Mentre negli ultimi anni le azioni intese a depenalizzare e legalizzare l’aborto in paesi come l’Argentina, l’Irlanda e il Messico hanno rappresentato un’enorme vittoria per la comunità internazionale, i divieti imposti negli Stati Uniti – insieme all’operato dei tribunali che li hanno sostenuti – sono un triste segnale che il paese sta facendo un passo indietro nel rispetto dell’obbligo di proteggere i diritti delle persone in gravidanza.

Preoccupa che questo inquietante arretramento rientri in una campagna anti-diritti che prende di mira il godimento di altri diritti sessuali e riproduttivi e che può diventare il modello negativo anche per altri contesti e paesi. Mentre attivisti e attiviste di tutto il mondo si sono mobilitati per chiedere di non arretrare davanti al rispetto del diritto all’aborto, la scorsa settimana abbiamo assistito con orrore all’attacco contro i manifestanti di Cedar Rapids, Iowa, colpiti dal conducente di un veicolo che li ha caricati mentre attraversavano la strada, investendo i piedi di un manifestante e strappando un poster di Amnesty International con lo slogan «L’aborto è un diritto umano».

Qualsiasi cosa accada continueremo a esercitare il nostro diritto di protestare, come ieri ha fatto un gruppo di attivisti e attiviste di Amnesty International Italia nei pressi dell’ambasciata statunitense a Roma, ribadendo che l’aborto sicuro è un diritto umano per tutte le persone che possono rimanere incinte e portando all’attenzione anche la preoccupazione relativa al contesto nazionale dove l’accesso a questo diritto continua a essere difficoltoso a causa dell’alto tasso di obiezione dei ginecologi.

Il diritto internazionale dei diritti umani chiarisce che le decisioni sul proprio corpo devono essere fatte dal singolo nel rispetto del diritto all’autonomia e all’integrità corporea. Costringere qualcuno a condurre una gravidanza indesiderata, o costringerlo a cercare un aborto non sicuro, è una violazione dei diritti umani, inclusi i diritti alla privacy, all’autonomia e all’integrità corporea.

In molte circostanze, coloro che non hanno altra scelta che ricorrere ad aborti non sicuri rischiano anche di essere perseguiti e puniti, inclusa la reclusione, e possono affrontare trattamenti crudeli, disumani e degradanti, discriminazioni e l’esclusione dall’assistenza sanitaria post-aborto.
L’accesso all’aborto è collegato alla protezione e al rispetto dei diritti umani di donne, ragazze e altre persone che possono rimanere incinte, al fine del raggiungimento della giustizia sociale e di genere.
Qualsiasi cosa in meno rappresenta un fallimento nella difesa dei diritti umani.

* responsabile ufficio campagne di Amnesty International italia