Forse aveva scelto lo pseudonimo di “Mario” in onore del dottor Mario Riccio, l’anestesista che 16 anni fa aiutò a morire il radicale Piergiorgio Welby con un’azione di disobbedienza civile ma con una procedura successivamente verificata come legale a tutti gli effetti, e che ieri mattina ha supportato “Mario” stesso nel suo ultimo gesto, stilando poi il certificato di morte. «Suicidio medicalmente assistito», ha scritto Riccio. Questa volta è tutto ex lege, tutto autorizzato. Ed è la prima volta che accade in Italia.

«Alle 11.05 – riferisce l’anestesista -, esattamente dieci minuti dopo l’inizio della somministrazione del farmaco letale per via endovenosa» avvenuta attraverso un macchinario azionato direttamente dal paziente, “Mario” è morto. E da quel momento il suo vero nome può essere rivelato: si chiamava Federico Carboni, aveva 44 anni e abitava a Senigallia; tetraplegico dal 2010 a seguito di un incidente stradale, aveva scelto il suicidio assistito dal 2020, anno in cui contattò l’Associazione Luca Coscioni per ricevere informazioni sul servizio ad hoc offerto in Svizzera. «Dove però avrebbe pagato 12 mila euro e sarebbe deceduto da solo, lontano dai suoi affetti», come ha raccontato Marco Cappato ieri in conferenza stampa.

E invece, dopo una lunghissima battaglia combattuta con dignità e per i diritti di tutti, ma anche dopo anni di sofferenza che lo Stato avrebbe potuto evitargli, ieri mattina, pochi minuti dopo aver finalmente ricevuto il macchinario e il medicinale necessari, Federico Carboni ha scelto di procedere senza attendere ulteriormente. «È morto col sorriso sulle labbra, con sua madre e i suoi amici accanto; ben vestito, sbarbato e curato, come tutti i presenti. Perché così ha voluto», raccontano emozionati Cappato e l’avvocata Filomena Gallo che ha supportato legalmente il paziente nella sua battaglia contro l’ostile burocrazia della Regione Marche. Tutta la procedura è stata videoregistrata e consegnata alla polizia per dimostrare – esattamente come avviene in Svizzera, dove una morte di questo tipo viene considerata «inusuale», ma non «violenta» come è il suicidio per l’ordinamento italiano – che tutto si sia svolto legalmente.

«Non nego – ha scritto Federico Carboni in un’ultima lettera – che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro Paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».

Nelle ultime settimane aveva sofferto ancora di più a causa di un’ulteriore infezione, riferisce l’avvocata Gallo. Era stremato dall’attesa: dall’agosto 2020 c’erano voluti due procedimenti giudiziari e una diffida per convincere l’Asur Marche e il Comitato etico regionale a sbloccare la pratica introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 sul caso Cappato-Antoniani. «Neppure il ministro Speranza ha fatto nulla, a parte le belle parole», accusa Cappato. E solo grazie alla raccolta fondi lanciata dall’associazione Coscioni sono stati raccolti gli oltre 5 mila euro necessari per comperare il macchinario (totalmente a carico del paziente) e il farmaco che non è commercializzato in Italia ed è stato reperito attraverso la casa produttrice.

Qualcuno ieri ha già protestato, molti tenteranno di far passare come «illegale» questo primo caso italiano di morte volontaria medicalmente assistita. Mentre la legge licenziata dalla Camera (che pure l’associazione Coscioni definisce «inutile e perfino controproducente perché restringe il campo dei diritti delimitato dalla Consulta») giace in Senato. Dove, dopo decine di audizioni parlamentari, si ricomincia tutto da capo.