In ogni storiaccia giudiziaria italiana, invariabilmente, a un certo punto si comincia a parlare di mandanti e poteri che si muovono nell’ombra. Sta succedendo anche adesso per l’inchiesta della procura di Perugia sugli accessi abusivi alle banche dati investigative su almeno 800 persone, tra cui politici di primo piano, calciatori, personaggi televisivi, imprenditori, finanzieri. Il discorso, al momento, è astratto, frutto di un sospetto e non di una certezza. Il capo della Dna Giovanni Melillo, ieri pomeriggio, nelle quasi quattro ore passate in commissione antimafia alla Camera, comunque, lo ha detto in manierachiara: «Difficilmente il sottotenente Pasquale Striano può aver fatto tutto da solo». Il caso che scandalizza molti e che appare solo al suo inizio, dunque, non sarebbe solo frutto di una «deviazione individuale», ma «ci siano molti elementi che confliggono con l’idea di un’azione concepita e organizzata da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele». Sulla base di quali elementi Melillo dice questo? «È una mia personale impressione – la risposta -, cioè l’impressione di un magistrato che ha 40 anni di esperienza». E che in passato ha avuto una certa esperienza in fatto di dossieraggi subiti, «come quelli ritrovati negli archivi paralleli della sede Sismi affidati a Pio Pompa nel 2006».

COSÌ, a dire di Melillo, uno dei principali compiti della procura di Perugia sarà quello di stabilire quali fossero i legami e le relazioni di Striano, una vita nell’antimafia: alla Dia dal 1999, poi asceso fino alla Dna con il compito di coordinare il gruppo Sos, dedicato alla segnalazione delle operazioni sospette. E da lì faceva le sue estrazioni abusive di dati, che poi finivano su giornali o chissà dove, perché gran parte dei nomi controllati, alla fine, non sono diventati oggetto delle cronache e dunque permane il mistero sul perché siano finiti al centro delle attenzioni del finanziere. Melillo, per il resto, ha tenuto molto a sottolineare come lui sia un uomo d’ordine e che, da quando si è insediato alla Dna, ha provveduto a prendersi carico di tante competenze che i suoi predecessori (tra cui l’attuale senatore del M5s Federico Cafiero De Raho, ieri presente in commissione) non volevano. Da qui la ricognizione sullo stato delle cose degli archivi di dati a disposizione delle forze di polizia. «Esiste un mercato delle informazioni riservate – sostiene Melillo –. Bisogna capire se è il frutto della debolezza dei sistemi digitali, se è un caso. O se invece esistono delle logiche più sofisticate e ampie. Credo che l’indagine di Perugia consenta di mettere qualche mattoncino per immaginare una costruzione più ampia». E ancora: «La gravità dei fatti in corso è estrema. Bisogna sottolineare la complessità estrema della corretta e rigorosa gestione delle banche dati dove confluiscono quelle e altre non meno delicate informazioni al fine della repressione dei reati. Fino al mio arrivo l’intera responsabilità dell’ufficio Sos era in carico a un solo sostituto e dal 2021 anche di un aggiunto. Ora abbiamo cambiato alcuni aspetti: ciò che è avvenuto oggi non sarebbe più possibile. O, in caso, ce ne accorgeremmo prontamente». Qui l’attacco a De Raho è diretto. E non sfugge che quell’unico magistrato che, fino al 2021, ha gestito le Sos era Antonio Laudati, ora indagato a Perugia insieme a Striano.

LA SITUAZIONE, racconta Melillo, era talmente grave che, quando nel luglio del 2022 è stata avviata un’attività di ispezione sui sistemi informatici, sono venute fuori «preoccupanti vulnerabilità», dovuta a «una profonda difficoltà, con deficit cognitivo dell’intera struttura». Parole pesantissime che descrivono una Dna quasi allo sbando. Almeno fino al suo arrivo. «Oggi quattro magistrati partecipano alla gestione del servizio Sos – spiega Melillo -, inoltre ho attuato un profondo rinnovamento dei quadri di polizia giudiziaria addetti al servizio Sos, non perché sospettassi ma per introdurre principi di rotazione per determinate funzioni. E c’era gente che la svolgeva da 20 anni». Le Sos, per il numero uno della Dna restano «uno strumento essenziale», anche se sono pure «degli strumenti delicatissimi perché contengono dati, informazioni in grado di profilare chiunque. Per questo l’uso delle Sos deve essere basato sul massimo rispetto delle norme e del campo di applicazione». Questo non sempre è avvenuto, come dimostra appunto l’inchiesta perugina, ma per Melillo non bisogna generalizzare troppo: «Il nostro sistema antiriciclaggio è guardato con rispetto e ammirazione da tutto il mondo. E a questo sistema il mio ufficio partecipa fornendo un contributo importante», per dire che oggi, con lui al comando, un caso come quello sotto indagine a Perugia non sarebbe possibile. Poi un’indicazione con ogni probabilità destinata a far discutere nei prossimi giorni: «Dal punto di vista politico c’è quasi una convergenza di tutti gli accessi verso una determinata area politica che era quella che andava formando l’attuale maggioranza e il governo».

IN PARLAMENTO, intanto, il deputato di Azione Enrico Costa ha nuovo emendamento in canna per equiparare le Sos agli atti delle indagini, vietandone quindi la divulgazione e la pubblicazione sui giornali. I partiti della maggioranza hanno già fatto sapere di essere pronti a sostenere la proposta. E l’inchiesta va avanti: il filone romano ha partorito il suo primo indagato per appropriazione indebita e autoriciclaggio. È il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, ieri ascoltato per 2 ore dai pm e pure lui vittima degli accessi abusivi di Striano.