E «l’impresentabile» Verdini si presenta a chiedere il conto
In senato l'ultimo sì alla legge elettorale Il leader di Ala: «In maggioranza ci siamo stati e ci saremo fino alla fine»
In senato l'ultimo sì alla legge elettorale Il leader di Ala: «In maggioranza ci siamo stati e ci saremo fino alla fine»
E venne il giorno dell’orgoglio verdiniano, il giorno in cui la legge elettorale che porta il nome del capogruppo Pd alla camera Rosato, ma di cui Denis Verdini si dichiara orgogliosamente zio (o nonno), viene definitivamente approvata. Con 214 voti favorevoli al senato, un record come fa subito notare l’esperto di sistemi elettorali e deputato verdiniano Massimo Parisi: «Più dell’Italicum, 184 voti, e più del Porcellum, 160».
E si potrebbe aggiungere molti più del Mattarellum originale, che al senato nel 1993 prese 145 e 134 voti (erano in realtà due leggi elettorali distinte).
ORGOGLIO LEGITTIMO quello del fiorentino Parisi, che dieci giorni dopo la vittoria del No al referendum costituzionale, ormai quasi un anno fa, aveva presentato la matrice del Rosatellum, un sistema misto con più collegi uninominali ma con i tre elementi portanti della nuova legge: la soglia di sbarramento al 3%, la possibilità di coalizioni e soprattutto il voto unico per maggioritario e proporzionale. «Era un’idea che poi si è sviluppata», spiega allusivo Verdini. Ma al «vecchio repubblicano», che si alza mezz’ora dopo l’inizio del dibattito conclusivo in un senato ancora semivuoto, interessa evocare ben altra continuità. «Berlusconi è stato il grande innovatore della politica italiana. Noi lo abbiamo seguito con convinzione nella sua lotta riformista, credendo e sperando poi nella forza innovativa di Renzi per portare a conclusione l’indispensabile trasformazione del paese». Una storia che naturalmente non è finita, tant’è che Verdini mentre si atteggia a padre della patria – «sono stato tirato per la giacchetta», manco fosse il capo dello stato – e mentre svela il segreto di Pulcinella – «tutta questa legislatura è stata un grande compromesso, noi di Ala in maggioranza ci siamo stati e ci saremo fino alla fine della legislatura» – si ripropone come alleato del Pd per le prossime elezioni. Con il piglio del laico, appunto «vecchio repubblicano»: «Abbiamo votato le unioni civili, voterei anche il testamento biologico e lo ius soli domani». Discorso rivolto a Renzi, non certo a Gentiloni di cui lamenta la «costante indifferenza».
L’INUTILE POLEMICA sulla norma «salva Verdini», quella che avrebbe dovuto consentirgli di candidarsi all’estero, è stata solo una distrazione. Quando era evidente da subito che per l’ex braccio destro di Berlusconi raccogliere le preferenze in sud America sarebbe quasi impossibile. La sostanza è che l’«impresentabile» si è presentato a chiedere il conto. E si ripresenterà, in Italia. A tanto si deve questo suo rarissimo intervento in aula – l’ultimo tre anni fa per difendersi da una richiesta di autorizzazione a procedere, il penultimo sei anni fa per l’identico motivo – che sconta la disabitudine al luogo: «C’è l’ex presidente della Repubblica in sala», dice, invece che in aula (e il resoconto pietoso corregge).
L’ULTIMA VOTAZIONE sulla legge Rosato scorre via tranquilla. E’ necessaria una votazione finale sul complesso della legge perché il governo ha messo la fiducia su ogni singolo articolo (tranne uno) e non su un maxi emendamento che la riassume, per evitare di dover tornare alla camera. Voto palese, per cui alla fine non manca neanche un sì nel gruppone Pd, malgrado le facce scure. Tranne i sette dissidenti (Chiti, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ruta, Tocci, Turano) che già mercoledì non hanno votato la fiducia. «Chi ha scritto questa legge non ha mai fatto campagna elettorale in un collegio, non ha idea di come votano i nostri elettori che peraltro sono in gran parte anziani», dice fuori dall’aula, e prima di votare sì, una senatrice democratica che dovrà provare a riconquistarsi il seggio al nord nell’uninominale. E rigira tra le mani il facsimile della scheda, dove il nome del candidato al maggioritario sparisce tra i simboli e le liste bloccate. Luigi Zanda, il capogruppo dem, tira via l’intervento finale con tale distrazione che attribuisce al renziano Roberto Giachetti la battaglia per il Porcellum (casomai il Mattarellum), racconta che il sistema tedesco è stato fatto cadere dalla bocciatura di un emendamento (casomai dalla approvazione) e poi garantisce sulla costituzionalità del Rosatellum come già garantì su quella dell’Italicum.
E COSÌ, POCO PRIMA che il tabellone fissi i numeri della seconda riforma elettorale di questa legislatura – 214 sì, 2 astenuti e 61 contrari – appaiono più veritierie le parole di un altro veterano delle aule parlamentari, intervenuto subito dopo Verdini. «Nei mille giorni di governo – dice il senatore leghista Calderoli – Renzi ha distrutto il paese e ha fatto dividere il partito. Ora fa approvare una legge elettorale che probabilmente determinerà l’estinzione del Pd, che alle prossime politiche rischia di arrivare terzo su tre».
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