È in Israele la santabarbara dell’Ucraina
Il limite ignoto Un terzo dei proiettili da 155 viene dai depositi americani di Tel Aviv
Il limite ignoto Un terzo dei proiettili da 155 viene dai depositi americani di Tel Aviv
Fino a oggi gli Stati uniti hanno già fornito o promesso di fornire all’Ucraina circa 1 milione di proiettili per mortai da 155. Almeno 300mila di quei proiettili provengono dai depositi americani in Israele.
I proiettili da 155 sono i più utili ora che la guerra si è fatta d’attrito e l’artiglieria gioca la parte del leone. Russia e Ucraina ne hanno consumati in quantità mai viste prima, tanto che la Russia ha dovuto farseli prestare dalla Corea del Nord, e Washington ha ridotto al limite le proprie riserve in patria – e anche quelle di Germania, Canada, Estonia e Italia, tra gli altri.
All’inizio della guerra in Ucraina, Israele aveva imposto un embargo quasi totale alle vendite di armi a Kiev, per timore delle rappresaglie russe contro i propri raid aeri sulle forze di Iran e Hezbollah. La prosecuzione della guerra ha travolto ogni prudenza, ha scritto ieri il New York Times, e il ministro della difesa americano Lloyd J. Austin e il suo omologo israeliano dell’epoca Benny Gantz hanno raggiunto un accordo per prelevare i proiettili necessari dai depositi americani in Israele. È materiale di proprietà americana, ha detto il governo israeliano dopo che il premier Yair Lapid ebbe accettato l’accordo, e poi hanno promesso che in caso di emergenza ripristineranno le scorte. Perché pur essendo americani, quegli antichi ma poco conosciuti depositi sono accessibili anche a Israele.
I giacimenti di munizioni americane in Israele hanno una storia lunga e tormentata, e risalgono alle forniture aviotrasportate inviate da Washington durante la guerra arabo-israeliana del 1973. Dopo quella guerra, Usa e Israele convennero di costruire depositi stabili, e dagli anni Ottanta un memorandum Usa-Israele permise di trasportare carri armati, blindati da trasporto truppe, materiale bellico e proiettili da obice in sei selezionate santabarbare in territorio israeliano denominate Wrsa-I (War reserve stock for Allies-Israel). Inizialmente accessibili solo a personale americano, negli anni 2000 vennero ingrandite per poter rifornire l’esercito, la marina e l’aviazione americana in ogni eventuale conflitto in Medio oriente. Infine vennero aperte anche a Israele, durante la guerra del 2006 contro Hezbollah, e di nuovo nelle operazioni israeliane contro Gaza nel 2014 – ed è almeno singolare che per armare un paese che combatte un’occupazione, Washington vada a prendere le cartucce in un paese che già ne occupa un altro.
Uno dei problemi è che la pur generosa industria bellica occidentale non riesce a tenere dietro agli ordinativi. L’Ucraina esplode circa 90mila colpi da 155 al mese, due volte la quantità con cui vengono prodotti dall’industria bellica americana e europea messe insieme (finora ha consumato anche 105 milioni di proiettili per armi leggere, 46mila colpi anticarro, 1.600 razzi Stinger e 8.500 razzi Javelin: anni di forniture in pochi mesi). All’inizio della guerra l’Ucraina sparava così tanto che gli artiglieri ucraini dovettero essere ri-addestrati (e l’intelligence per la loro mira potenziata) per evitare di sprecare munizioni. L’arrivo dei lanciarazzi Himars completò l’operazione, ma ancora oggi il fuoco è così intenso che un terzo degli obici da 155 sarebbero sempre in manutenzione.
L’altro problema americano è la tenuta politica interna. Dare fondo alle scorte rende felici i costruttori di armi, ma molto meno i politici che ormai da mesi criticano la diminuzione della capacità bellica degli Stati uniti. E domani si terrà a Ramstein (territorio americano in Germania) il vertice dell’alleanza per l’Ucraina, cioè i paesi della Nato più una decina di invitati selezionati. Come già nell’aprile scorso, è a Ramstein che gli Stati uniti “passeranno in rassegna” le truppe e assegneranno i compiti. Incluso quello di non sguarnire Washington.
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