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Durissime condanne ai giornalisti di Cumhuriyet

Durissime condanne ai giornalisti di CumhuriyetProtesta in Turchia contro gli arresti a Cumhuriyet – Epa

Turchia Sentenza di primo grado di un processo assurdo: tra i sei e i sette anni di carcere per sei dipendenti del quotidiano, tra cui il direttore Murat Sabuncu e il giornalista investigativo Ahmet Sik; dai tre ai quattro anni per altri sei, tra cui il vignettista Musa Kart. Solo in tre sono stati prosciolti

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 26 aprile 2018

Giornalisti e management del quotidiano di opposizione turco Cumhuriyet sono stati condannati in primo grado per sostegno al terrorismo, al termine di un processo folle nell’epilogo quanto nel suo svolgimento.

Le condanne più pesanti, tra i sei e i sette anni di carcere, per il direttore Murat Sabuncu, Orhan Erinc, Akin Atalay, Aydin Engin, Hikmet Cetinkaya e il giornalista investigativo Ahmet Sik, assurdamente colpevole di associazione con la setta dell’imam Fethullah Gulen (considerato dal governo la mente dietro il tentato golpe del luglio 2016), su cui le sue inchieste hanno per prime contribuito a far luce.

Condanne tra i tre e i quattro anni invece per Onder Celik, il vignettista Musa Kart, Kadri Gursel, Hakan Kara, l’impiegato Emre Iper e Bulent Utku. Sono stati invece prosciolti Bulent Yener, Turhan Gunay e Gunseli Ozaltay.
In attesa dell’appello, annunciato dagli avvocati difensori, i giornalisti resteranno a piede libero. Unica nota lieta della giornata è il rilascio di Akin Atalay, l’ultimo fino ad oggi ancora dietro le sbarre.

Continuerà il processo a carico di Can Dundar, ex direttore in asilo politico in Germania, e a Ilhan Tanir. Condannato invece a dieci anni di permanenza in carcere Kemal Aydogdu, un appartenente a Cumhuriyet ma considerato il leader di una cellula di Gulen e il cui fascicolo, inspiegabilmente, è stato nei mesi scorsi accorpato al processo del quotidiano.

Le sentenze giungono al termine delle amare arringhe della difesa e di un processo viziato da errori, abusi e costruito sul lavoro giornalistico della redazione. Un esito incomprensibile su cui le istituzioni europee, a cominciare dalla Corte dei diritti umani, devono cominciare ad agire.

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