Due nuove forze per ricostruire il campo progressista
Dopo il voto Tirando le somme: anomalia M5s rientrata nello schema tradizionale conservatori / progressisti, centrodestra ancora minoranza nel paese, ma netta maggioranza in Parlamento, e Pd relegato all’opposizione.
Dopo il voto Tirando le somme: anomalia M5s rientrata nello schema tradizionale conservatori / progressisti, centrodestra ancora minoranza nel paese, ma netta maggioranza in Parlamento, e Pd relegato all’opposizione.
Nel 2008 gli elettori si dividevano in 20 milioni per il centrodestra e 16 per il centro-sinistra. Dieci anni dopo, con l’esplosione del M5S, ben 11 milioni di Italiani scelsero “né sinistra né destra”, il centro-destra si ridusse a 12 milioni ed il centro-sinistra a 8. Le due macro aree tradizionali avevano perso 8 milioni di voti ciascuna ed il panorama politico italiano fu sconvolto dal nuovo soggetto che divenne perciò il nemico di tutti. Adesso, dopo quattro anni, si registrano altri 5 milioni di astenuti e il M5S è stato ridimensionato a poco più di 4 milioni di elettori.
Nel nuovo panorama politico che risulta dal voto del 25 settembre, il centro-destra nel suo insieme ha conservato i suoi 12 milioni di elettori, addirittura migliorando la percentuale per il calo dei voti validi. Per il resto, il M5s – ormai trasformato in forza progressista – ed il Pd insieme si avvicinano anch’essi ai 12 milioni. Ma, per effetto della legge elettorale, essendosi presentati separati, sono stati messi fuori gioco. Il centro destra col 44% dei voti ha conquistato il 60% dei seggi.
Tirando le somme: anomalia M5s rientrata nello schema tradizionale conservatori / progressisti, centrodestra ancora minoranza nel paese, ma netta maggioranza in Parlamento, e Pd relegato all’opposizione, dopo essere stato in tutti i governi senza avere la maggioranza dei consensi. Da qui bisognerà ripartire.
Sulle ragioni del declino del Pd e della Sinistra la discussione speriamo prosegua col coraggio di mettere e mettersi in discussione. Tutti. I numeri elettorali dimostrano che non siamo diventati improvvisamente un paese di destra e fascista e che la forte ascesa di Meloni corrisponde a uno riequilibrio interno all’area di centro destra a scapito soprattutto della Lega. Naturalmente non dobbiamo sottovalutare la sconfitta ed i pericoli, dovremo incalzare la nuova maggioranza, ma non dobbiamo nemmeno lasciarci prendere dall’angoscia delle scorciatoie.
Piuttosto che correre a cambiare qualche nome per non cambiare niente – cosa inutilmente fatta più volte e della quale paghiamo il prezzo oggi – sarebbe meglio darsi un’agenda di analisi dei dati e dei processi sociali intervenuti e, nello stesso tempo, attivare azioni concrete capaci di coinvolgere altre forze e soprattutto soggetti sociali di base. Mentre ci dedichiamo alle azioni ed alle lotte quotidiane, di fronte alle gravi emergenze, dobbiamo avviare un radicale rinnovamento di politiche e persone.
Si potrebbe iniziare da una domanda: tanti anni al potere senza una reale maggioranza nel paese: come e perché è stato possibile? C’è una relazione col modo in cui è nato il Partito democratico?
Quella nascita è stata una fusione a freddo tra due soggetti in declino: ciò che restava del Pci dopo l’89 e ciò che restava della Dc dopo il disfacimento post-tangentopoli. Il collante è stato il mantenimento del potere riducendo la presenza nei territori e teorizzando e praticando il partito liquido, sostituendo il vecchio concetto di egemonia con quello di vocazione maggioritaria, indebolendo il concetto di rappresentanza, che comporta alternanza tra governo ed opposizione, a favore delle pratiche di alleanze per governare ad ogni costo anche forzando in senso maggioritario il sistema elettorale.
Sono cambiate idee e pratiche dell’azione politica, valorizzando gruppi e correnti in funzione di comitati elettorali, e producendo una vera a propria mutazione genetica: si entra e si vive nel partito privilegiando pratiche di potere, ambizioni, alleanze e lotte interne e sradicandosi da territori ed ambienti lavorativi.
Si può provare spalancando porte e finestre ai giovani, a tutti i soggetti che vivono con disperazione e rabbia le condizioni di precarietà, di nuove e vecchie povertà, le paure e le insicurezze che sono le materie prime che alimentano populismi e destra?
Dobbiamo ripartire da qui. Tutti i progressisti, di qualunque sfumatura, possono e devono sentirsi parte di questo sforzo di rinascita. Ripetere riti ed errori come primarie, governo come fine, alleanze senza popolo, agende dettate da tecnici e finanza, significa aprire un’altra prospettiva.
L’area di centro sinistra alla quale finora abbiamo fatto riferimento potrà ritrovarsi in due soggetti diversi frutto della trasformazione sia del Pd che del M5s. Niente di tragico. Una grande area politico culturale potrà articolarsi in due forze, naturalmente alleate perché del campo progressista.
Importante è che la fase non sia l’agonia di due forze declinanti. Ma la costruzione di una cultura che permei di sé opinione pubblica, giovani, associazionismo e che agisca sui terreni più materiali delle disuguaglianze, del lavoro e della sua remunerazione, della distribuzione di reddito e ricchezza, ma anche sui terreni più etico-sociali come i diritti civili, la convivenza, l’accoglienza e, soprattutto la pace e la produzione ed uso delle armi.
Una fase di ridefinizione delle aree geopolitiche post globalizzazione col ritorno a contrapposizioni apparentemente ideologiche, ma che nascondono un nuovo conflitto sulle risorse naturali, energetiche, di materie prime e terre rare. E che in futuro riguarderà anche agricoltura, terre, acqua. Con ricadute sui popoli e sui processi migratori. C’è abbastanza spazio per due soggetti nel campo progressista. Decidiamoci, però. E tutti.
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