Da 35 anni l’Onu dedica il 26 giugno alla lotta alle dipendenze e al narcotraffico. Tema di quest’anno «L’evidenza parla chiaro: investire in prevenzione». Un’ovvietà da non dare mai per scontata – e non solo nei regimi autoritari che prevedono la pena di morte per uso personale di stupefacenti.

L’Ufficio per le droghe e il crimine dell’Onu (Unodc), diretto dall’ex ministra egiziana Ghada Waly (prima di lei solo russi o italiani) si barcamena tra il rispetto dei diritti umani e i desiderata degli Stati membri refrattari alla ricerca di un bilanciamento tra attenzioni sociosanitarie e lotta al narcotraffico. «Dalle persone con disturbi legati all’uso di sostanze alle comunità alle prese con le conseguenze del narcotraffico e della criminalità organizzata – si legge nel comunicato di Waly – l’impatto delle droghe è di vasta portata e complesso. Per affrontare questa sfida è fondamentale adottare un approccio basato su evidenze scientifiche che diano priorità a prevenzione e trattamento». Per l’Unodc le «politiche efficaci devono fondarsi su scienza, ricerca, pieno rispetto dei diritti umani come su compassione e una profonda comprensione delle implicazioni sociali, economiche e sanitarie del consumo di droga». Questo «dovere» e le realtà a livello nazionale non sempre combaciano. Il Rapporto mondiale sulla droga (al singolare, sic!), quest’anno si concentra in particolare sull’emergere di nuovi oppioidi sintetici e sugli aumenti record di offerta e domanda di tutte le altre droghe che aggravano l’impatto mondiale del problema, portando a un aumento dei disturbi legati all’uso delle sostanze e a danni sociali e ambientali.

Nel 2022 le persone che hanno fatto uso di sostanze illecite nel mondo sono state 292 milioni, un aumento del 20% negli ultimi dieci anni. Cannabis 228 milioni di persone, oppioidi 60 milioni, anfetamine 30 milioni, cocaina 23 milioni ed ecstasy 20 milioni. Non solo non si hanno i numeri relativi al policonsumo ma in generale si tratta di cifre elaborate sulla base di quanto condiviso volontariamente dai governi: numeri che coprono (forse) il 60% della popolazione mondiale. Sebbene si stimi globalmente che 64 milioni di persone soffrano di disturbi legati all’uso problematico di stupefacenti, solo una su 11 è in cura. Le donne hanno meno accesso alle cure rispetto agli uomini: una su 18 rispetto a un uomo su 7.

Sono circa 7 milioni le persone – cifra molto probabilmente sottostimata – che nel mondo hanno avuto contatti formali con la polizia per reati di droga (arresti, multe, ammonizioni), di cui circa due terzi dovuti al possesso per uso personale, financo alimentare (!) di semi di papavero o canapa. Inoltre 2,7 milioni di persone sono state perseguite per reati di droga e oltre 1,6 milioni condannate, con differenze significative per quanto riguarda il tipo di pene.

Il Rapporto contiene capitoli sulla messa al bando dell’oppio in Afghanistan, in parte responsabile dell’invasione degli oppiacei sintetici; nuove sostanze psicoattive e questioni di genere; impatti della legalizzazione della cannabis – non ancora metabolizzati a livello Onu -, “rinascimento” psichedelico; diritto alla salute in relazione al consumo di droga e collegamento tra traffico di droga nel Triangolo d’Oro (Myanmar, Thailandia, Laos) e altre attività illecite e al loro impatto non solo regionale. Il documento si conclude con decine di raccomandazioni tra cui «sostenere politiche basate su evidenze a livello nazionale e internazionale, garantendo che esse siano fondate sulla ricerca scientifica e informate dalle migliori pratiche».

Nelle stesse ore in cui l’Onu presentava il Rapporto, in Italia si suonava l’allarme dipendenze individuando nel principio attivo non stupefacente del Cbd il nuovo nemico da battere, contro la letteratura scientifica e le raccomandazioni dell’Oms.