Droghe, capire il consumo e non demonizzare
Cultura e droghe. Per qualcuno un ossimoro, due lemmi inconciliabili: al massimo droghe e subculture, dove il prefisso sub per qualcuno è inteso per stigmatizzare tanto i consumatori quanto le sostanze. A rimettere le cose a posto ci pensa Paolo Nencini, con il volume “Storia culturale degli stupefacenti”, pubblicato da Futura Edizioni. Come sottolinea Grazia Zuffa, che ne cura la prefazione, il tesoro della letteratura è la finestra aperta sulla soggettività dei consumatori, a cominciare dalla narrazione degli effetti delle sostanze. Compresi quelli piacevoli, il grande non detto delle droghe.
Il testo è costruito sul modello dell’evoluzione dell’atteggiamento sociale nei confronti dell’uso voluttuario di stupefacenti del politologo Ethan Nadelmann, che individua le regolamentazioni nazionali ed internazionali secondo un modello in quattro tappe: nella fase odierna, la proibizione viene gestita da un apparato burocratico che agisce autonomamente con una irresistibile forza d’inerzia, anche di fronte all’evidente fallimento.
Nencini propone una storia soggettiva del consumo di droghe a partire dall’esame della letteratura, sia di quella alta per la sua capacità di anticipare o addirittura di guidare le pulsioni del tempo, sia di quella d’evasione per quanto essa permette di cogliere dello “spirito del tempo” in cui il lettore si rispecchia. Un testo che si colloca nella linea di ricerca sull’uso di sostanze psicotrope che caratterizza l’attività di Nencini (ricordiamo “Il fiore degli inferi. Papavero da oppio e mondo antico” del 2004 e “La minaccia stupefacente.
Storia politica della droga in Italia” del 2017), che oltre ad aprire orizzonti di conoscenza di un fenomeno molto più diffuso di quanto si voglia ammettere, offre una chiave di lettura che, al di là della contrapposizione fra proibizionismo e antiproibizionismo, permette di affrancarsi da paure e pregiudizi, interpretazioni moralistiche e patologizzanti, ed è un contributo importante anche per tutti coloro che hanno compiti educativi o operano nei servizi, inserendosi a pieno titolo in quel moderno filone di ricerca che contestualizza gli effetti delle sostanze non legandoli esclusivamente alla sostanza in sé, ma al contesto ed alle modalità di utilizzo. Già Norman Zinberg, leggendo i consumi di droghe quali comportamenti umani connotati da intenzioni, apprendimenti e culture, ha dimostrato che la produzione e la diffusione di norme e rituali sociali consente alla maggioranza dei consumatori un uso controllato, compatibile con la propria vita sociale.
Cuore del ragionamento di Nencini è il fallimento dell’idea che ogni consumo sia di per sé patologico, ma che ci può essere, esiste, un consumo controllato che non porta inevitabilmente alla dipendenza, come ancora oggi si continua a sostenere, parlando di droga al singolare, di tunnel, di perdizione: narrazione che prevede la stigmatizzazione e stereotipizzazione dei consumatori, che ben poco ha a che vedere con le evidenze scientifiche e con le esperienze di molti operatori che lavorano nei servizi pubblici e del privato sociale.
Ciò che colpisce, in questo libro, è l’ampiezza del punto di vista. Nencini, nel proporre una lettura culturale dell’uso delle droghe, va infatti ben oltre il compito che si prefigge. Il suo sguardo si posa sulla materia con approccio insieme scientifico e umano, storico e letterario. È uno sguardo transdisciplinare, uno sguardo che non dà nulla per scontato, ma si sofferma a indagare la molteplicità dei fatti e delle interpretazioni che ne sono state date, dagli albori del fenomeno fino ai giorni nostri.
Le droghe, di cui quest’opera ci racconta la storia millenaria, continueranno a circolare. Non è con il proibizionismo, con la “war on drugs”, che si può comprendere e gestire il fenomeno. Per questo crediamo che il testo di Nencini aiuti il dibattito pubblico.
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